rassegna stampa roma

Mezzaroma: «Noi come la Roma, ci piace giocare a calcio»

(Il Romanista-M.Macedonio) Da presidente del Siena, è anche il primo tifoso della Robur, dal nome storico che la società bianconera si porta dietro dal 1904. Ci ha messo tanto di suo, Massimo Mezzaroma,

Redazione

(Il Romanista-M.Macedonio) Da presidente del Siena, è anche il primo tifoso della Robur, dal nome storico che la società bianconera si porta dietro dal 1904. Ci ha messo tanto di suo, Massimo Mezzaroma,

sul piano economico e della passione sportiva, in questa nuova avventura, dopo quella nel volley, come patron della M.Roma. Ma è anche vero che il legame con Roma, e la Roma, non si cancella. E non potrebbe essere altrimenti, visto che suo padre, Pietro, condivise per diversi mesi la proprietà della società giallorossa in quell’ormai lontano 1993. Fino alla separazione, che sembrò quasi una conferma di quel nomen omen, nel nome il destino.

Che idea si è fatto, presidente, di questa Roma? E’ una società che ha investito molto sul mercato. Viene da mesi molto convulsi, perché oltre ad aver cambiato giocatori e allenatore, ha visto cambiare anche tutta la dirigenza e, addirittura, la stessa proprietà. Ma mi sembra che si possa parlare di una società che ha ambizione di mantenere uno standard sportivo degno del proprio nome. So anche che in campo troveremo una squadra sicuramente aggressiva per regalare la gioia della prima vittoria ai propri tifosi. Il Siena è però a pari punti, in classifica, con la Roma.

Come affronterete quest’impegno? Noi dobbiamo di cercare di raccogliere punti su tutti i campi. Verremo a Roma cercando di fare la partita e, se possibile, cogliere anche noi un primo successo in campionato. Ho sentito Giuseppe Sannino, che certamente non vuole sfigurare in un grande teatro come quello dell’Olimpico. Anche per il Siena la scelta è caduta su un allenatore alla sua prima esperienza in A. Con acquisti che hanno reso la squadra certamente più competitiva. Contro la Juventus l’ha dimostrato... Abbiamo perso una partita in cui gli avversari hanno tirato in porta forse solo due volte. E siamo stati anche sfortunati. L’allenatore l’abbiamo scelto perché ricalca quello che deve essere lo spirito del Siena. Fatto di sacrificio e di cultura del lavoro. E della voglia di vincere cercando di costruire gioco. Anche la campagna acquisti è stata improntata in tal senso: penso, su tutti, all’arrivo di D’Agostino. Ma anche a quello di Belmonte. O a Contini, che abbiamo riportato in Italia dal Real Saragozza. E avevamo già Brienza, Calaiò… Insomma, giocatori che “giocano a pallone”. Perché il calcio moderno sta rivivendo un po’ del calcio “antico”: il Barcellona sta insegnando a tutti noi che per giocare a pallone bisogna far muovere più la palla che i giocatori. E’ una filosofia di gioco comune sia a Sannino che a Luis Enrique.

A proposito di Enrique, ritiene che ci sia spazio in Italia per un tecnico come lui, al quale deve essere dato il giusto tempo per lavorare? Ci sono due soggetti che ci devono credere. Da una parte la proprietà, dall’altra i tifosi. La proprietà non può che crederci, avendo fatto tale scelta solo due mesi fa. E buttarla all’aria così presto vorrebbe dire buttare il bambino con l’acqua sporca. Certo, i tifosi dovranno soffrire un po’, perché si sa che la sofferenza maggiore è riservata a loro. Molto dipenderà dai risultati, ma credo soprattutto dalle prestazioni, perché anche contro il Cagliari la Roma ne aveva fatta una buona, visto che è uscita tra gli applausi. Penso che i tifosi debbano essere innanzitutto corroborati dalle prestazioni. E poi, col tempo, sono certo che arriveranno anche i risultati. Spero che ciò non avvenga già contro di noi, ma solo a partire da venerdì… Anche se credo che il suo legame con la Roma non sia facile da accantonare. Ho il dna di una famiglia che entrò nella Roma, insieme a Franco Sensi, per salvare la società dopo il periodo buio di Ciarrapico. A quel tempo, fui anche responsabile del settore giovanile. E per me, che andavo allo stadio fin da bambino e che mi sono esaltato per lo scudetto dell’82/83 come per l’ultimo, fu un’esperienza unica… Ma non sono ipocrita. Quella è stata, ed è, una mia passione “esterna”. Il Siena però, oggi, è una cosa mia. E io sono visceralmente innamorato delle mie cose: le curo, le coccolo, le proteggo e le difendo. Ciò non toglie che, per me, non è una partita come le altre. Ed è anche banale dirlo.

Che ricordo ha di quel periodo, seppure breve, in cui ebbe – giovanissimo (21 anni, ndr) – un incarico nella società? Era un altro calcio: altri ritmi di lavoro e altri numeri. Ammetto che un po’ lo rimpiango. Era un calcio più umano. Esistevano dei codici di comportamento, anche tra presidenti. Penso ai duetti a distanza tra Viola e Boniperti: pezzi di letteratura! C’erano uomini intelligenti. E grandi signori. Oggi, da questo punto di vista, il calcio si è molto imbastardito. Insomma, più che ricordi, ho un po’ di rimpianto.

Un calcio, quello attuale, al quale continuano a legarsi vicende che poco hanno a che fare con lo sport. Penso al recente ritorno di Calciopoli, che – dopo un primo coinvolgimento – vi ha visto uscirne completamente estranei. Come ha vissuto quel momento? Come persona che aveva moltissimo da fare: dalla scelta del nuovo allenatore alla campagna acquisti. Fortunatamente, ho un po’ di sangue inglese, preso da mia madre, e sono quindi portato ad affrontare i problemi quando si presentano. Venni a conoscenza di tutto dai giornali, senza che fossimo neanche indagati. Lessi tutte d’un fiato le famose seicento pagine dell’ordinanza e, finita la lettura, a tarda notte, me ne andai a dormire sereno e tranquillo. La mattina ripresi il lavoro. Perché, purtroppo, il calcio vive un eccesso di sovraesposizione mediatica, che di per sé è una brutta bestia. Bisogna essere saldi e solidi nei principi, sennò si perde la testa.

In generale, come si può far fronte a rischi come questi,che ciclicamente si ripresentano? Una delle cose da fare sarà rivedere il diritto sportivo rispetto alla responsabilità oggettiva. Perché se un giocatore si mette d’accordo con un altro e insieme vanno a scommettere sulla partita, vorrei capire come posso governare la situazione. Non abbiamo strumenti investigativi. Non è possibile che le società paghino per dei soggetti che non possono controllare. O sono sotto il loro controllo solo nelle poche ore dell’allenamento. E parlo del Siena, dove la dimensione della città consente già un controllo maggiore. Ma in una grande metropoli, è folle! Si pretende che le società facciano da capri espiatori, ma non è giusto né possibile.

Tornando alla Roma, lei ha più volte espresso il rammarico per l’occasione mancata, da parte di molti imprenditori romani, di rilevare la società. Essendo per metà inglese, non ho certo preclusioni verso una proprietà straniera. E non sono quindi tacciabile di interessi di bottega. Sicuramente, l’imprenditoria romana ha perso una grande occasione. Soprattutto i costruttori, che avrebbero potuto consorziarsi. Superando, per una volta, gli interessi di massimizzazione degli utili e assumendo quello spirito di servizio, a supporto della famiglia Sensi, che avrebbe potuto migliorare la situazione economica e finanziaria della Roma, anche attraverso lo sviluppo del progetto stadio. Mettendo insomma un po’ da parte l’io e più avanti il “noi”.

A proposito dello stadio, quanto può, con la sua capacità di catalizzare interessi, rappresentare una svolta nella crescita anche economica di una società come quella giallorossa? La filosofia reale intorno agli stadi è di due tipi: il primo è quello del plusvalore dato da un impianto moderno e più fruibile, in cui il tifo-so che paga il biglietto viene accolto in una casa pulita, dove il mangiare è buono e le poltrone sono comode. E chi paga 20, 50 o 100 euro ha diritto a godere di una struttura funzionale. Il secondo è l’essere un generatore di ricavi, dentro e fuori l’impianto, con iniziative economiche di supporto alla gestione della società. Il tutto va fatto però con equilibrio. Non bisogna cadere nella tentazione di giustificare un mastodontico intervento edilizio con la scusa dello stadio.

E’ la seconda volta che si trova ad affrontare i giallorossi, da quella sfida all’Olimpico nel gennaio dello scorso anno, giusto un paio di settimane dopo la sua acquisizione del Siena. Ahimé, ho ancora negli occhi quel “tacco” di Okaka…

Un pareggio che vi sfuggì all’ultimo minuto e che non si è mai verificato nei precedenti “romani” tra le due squadre. Come vivrà questa prossima sfida? Sugli spalti, sperando di assistere ad una nostra buona prestazione e di fare una bella figura. Perché il Siena è una buona squadra e una società seria, e rappresenta una delle più belle città al mondo, dove è ancora possibile fare calcio e vivere di calcio. Questa è l’immagine che vogliamo portare in giro per l’Italia: di una squadra pugnace e che abbia il carattere del suo mister, ma anche i comportamenti della sua dirigenza, sempre limpida e cristallina.

Il risultato? Speriamo di riuscire a tornare a casa con qualcosa nel sacco.