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Mezzaroma: «Nel 2009 volevo comprare la Roma, ma non mi si è filato nessuno»

(Corriere dello Sport) Il presidente del Siena Massimo Mezzaroma ha partecipato ad un forum nella redazione del quotidiano sportivo romano. Ecco l’intervista:

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(Corriere dello Sport) Il presidente del Siena Massimo Mezzaroma ha partecipato ad un forum nella redazione del quotidiano sportivo romano. Ecco l’intervista:

Calcio, volley, vela, costruzioni: qual è l’attivi­tà che le porta via più tempo e le dà più sod­disfazione? «All’Università insegneranno una nuova mate­ria: l’organizzazione dell’agenda di un folle. La mia segretaria ha il compito più importante, per­ché riuscire a incastrare tutti gli impegni non è facile. Ma debbo ringraziare anche mia moglie e la mia famiglia per la pazienza. Quella che mi dà più soddisfazione personale è la vela, pratica che porto avanti con qualche buon risultato an­che a livello internazionale. E’ bello riuscire a to­gliersi giacca e cravatta e andare in giro per il mondo senza rumore ad ascoltare il vento e le battute degli amici nei momenti tosti di una re­gata. Essere, poi, il presidente di una società di calcio è un lavoro vero, se si vuole essere dei vincenti. Perché il calcio è un’azienda con tanti collaboratori e tanti dipendenti, tanti meccani­smi che diventano un’attività reale perché sen­za tutto ciò i risultati non vengono. La soddisfa­zione umana arriva dal volley, vedere tanti ra­gazzini del settore giovanile, a volte di un metro e ottantacinque, crescere è una cosa che fa pia­cere. Abbiamo riportato a Roma scudetti. Ed è stato bello». Come mai un imprenditore romano, che avrebbe potuto avere per destino mezza Roma in Serie A, è dovuto andare a Siena a fare calcio e a Roma arrivano, invece, gli americani?«Innanzi tutto, nemo profeta in patria, senza voler prendere pieghe latiniste, c’è già chi lo fa. Poi ricordo benissimo quei giorni, prima che pa­pà Pietro comprasse la società con la gente sot­to casa che implorava affinché il club non fallis­se. Per un romano essere presidente della Roma è complicato. Il grande amore, a volte, fa venir meno quel pragmatismo indispensabile quando un’azienda sportiva arriva a fatturare 100 milio­ni di euro. C’è, purtroppo, uno squilibrio fra un approccio sentimentale e i numeri che il calcio produce, le professionalità necessarie e gli appe­titi che genera. A Roma è molto complicato per un romano. Siena, in questo senso, è una città diversa. Ci sono regole antiche non rintracciabi­li altrove. Il clima è quello di una volta. I tifosi so­no ancora avversari, non nemici». Ma il fatto che arrivino gli americani a Roma come lo valuta?«Aspetto di vederli all’opera. DiBenedetto che scende dall’aereo dà l’immagine di un uomo che viene per lavorare. Sono curioso di verificare co­sa porteranno di nuovo nel mondo del calcio. Mia madre è inglese, conosco la cultura anglo­sassone ». Lei ha detto che è disponibile ad ascoltare la Juve per quanto riguarda la posizione di Conte. Ma sino a quando aspetterà? «La mia disponibilità è più verso Antonio che verso la Juve. Lui è un uomo vero che ha dato tanto al Siena e a me. E’ un viscerale. So che la Juve per lui non sarò mai una squadra come un’altra. Lui ha fatto tanto per riportare il Siena in A e se si convincesse che il bianconero giusto sia quello della Juve, io lo inviterei a pensarci bene. Ma non mi opporrei. Il tempo d’attesa? E’ praticamente brevissimo. La prossima settima­na cominceremo a lavorare per programmare insieme con Conte il prossimo campionato. Co­munque, questo non è un invito a telefonarmi in fretta. Anzi spero di non ricevere mai una chia­mata da Torino». L’altro punto fermo per il futuro è Giorgio Pe­rinetti.«Ormai lui ha sposato un’idea di società che parte dal fatto che Siena è un luogo ideale per fa­re calcio». In questo periodo si è parlato tanto delle dif­ficoltà della Roma, c’è stato un momento in cui ha pensato di prendere la società?«Sì, prima di acquistare il Siena. Nell’autunno del 2009. Trovavo strano che in una città come Roma, che è quella dei costruttori da duemila anni, di fronte ad una volontà forte della politi­ca di creare un mix forte tra infrastrutture e sport, nessuno rispondesse. Avremmo investito sino a stabilizzare la società e a risanarla in cam­bio della possibilità di fare urbanistica anche at­traverso uno stadio moderno. Non mi si è filato nessuno». Questa apertura che lei ha nei confronti di Conte vale anche per altre squadre? Si parla, per esempio, del Napoli.«No. Vale solo per il bianconero. E secondo me anche Conte la pensa allo stesso modo perché sa come abbiamo lavorato in questi dieci mesi. Non sempre è possibile fare calcio come abbiamo fat­to noi, nel rispetto reciproco dei ruoli e delle competenze. Ognuno, insomma, al suo posto: presidente, ds, tecnico, calciatori. Con questo metodo abbiamo creato una barchetta in cui il problema, alla fine, era togliere dai remi gli uo­mini, non metterceli». Conte ha una sua precisa cultura calcistica, un suo stile di vita che chiede di seguire anche fuori dal campo ai calciatori. Cosa l’ha colpita di più?«Abbiamo una serie di cose in comune. Io ho avuto un’educazione all’antica. Antonio è una persona molto credente, ha dei comportamenti che nel mondo del calcio non tutti hanno il corag­gio di avere. E’ l’esempio che serve ai nostri gio­vani. Lui è riuscito a riversare sulla squadra il suo sistema di valori, il modo di alimentarsi, un’identità di gruppo, non solo il suo modulo di gioco. Una squadra retrocessa e non rivoluziona­ta ha ritrovato così motivazioni forti e fiducia nei propri mezzi. Ha metabolizzato un modello di vita». Facendo un parallelo tra il Siena e la M. Ro­ma di volley, quali sono gli obiettivi del prossi­mo anno?«Sarà una stagione importante. Innanzi tutto ripartire da Conte e Giani in panchina. Poi rag­giungere la salvezza e consolidare la categoria in A, per quanto riguarda il calcio. Dall’altro lato arrivare alla fase finale di Final Four che si svol­gerà a Roma e ai play off. Quest’anno è stato par­ticolare, Giani non è riuscito a lavorare. Il mer­cato? E’ tutto in divenire. In Serie A ci sono sei o sette squadre che cambieranno, mentre nel vol­ley ci sono ancora situazioni poco chiare. Biso­gnerà aspettare. Cambieremo palleggiatore. Servirà esperienza (è stata fatta un’offerta a Ni­kola Grbic, 37 anni della Brebanca Cuneo), ndr) ». Tornando a Conte, secondo lei il suo sistema di gioco così propositivo sarà premiante anche in A? «Io credo di sì. Anche perché quest’anno ab­biamo dovuto affrontare delle squadre che ave­vano chiesto la licenza edilizia nella propria area di rigore. In A, ci aspettiamo avversari con atteg­giamenti diversi e questo potrebbe agevolarci. Ovviamente, per il resto, sarà tutto più compli­cato ». C’è già un’alternativa al tecnico salentino? «Non ci abbiamo ancora pensato. Per ora con­tinuiamo a scherzare sull’addio». Un allenatore che le piacerebbe di quelli che ha affrontato in B? «Certamente Sannino, anche se dietro ha un ds collaudato e una società che ha lavorato da tem­po insieme. Secondo me anche Menichini ha fat­to benissimo. Anche perché alle spalle c’è un personaggio come Mazzone. Vi svelo un segre­to: a Carletto avevo offerto la presidenza onora­ria del Siena. Lui, con un grande gesto di umil­tà, scelse la famiglia e di fare il nonno. Anche Maran, a un certo punto della stagione, ha fatto bene con il Vicenza. Tesser? Del Novara ho ap­prezzato di più i giocatori». Prenderete Bertani e Gonzalez? «Si tratta di due giocatori importanti. Bertani farà bene in massima serie. Con il Palermo ab­biamo appena finito di parlare di Perinetti!». Cosa pensa di questa vicenda dei diritt

i tele­visivi?«Sicuramente i grandi club nel recente passa­to hanno creato ricchezza per tutti, ma oggi le co­se sono un po’ cambiate e bisogna tener conto anche di realtà che si propongono con ambizio­ni precise. Penso al Palermo, alla Lazio, all’Udi­nese. Serve equilibrio. Per vincere a volte biso­gna dare ragione anche agli altri. Il vincente de­ve essere umile. Forse una parte della ricchez­za andrebbe ridistribuita per creare infrastrut­ture di base sul territorio». In un anno e mezzo di calcio ha fatto tutto: una retrocessione e una promozione. C’è un mo­dello tra i giovani presidenti che seguirebbe?«Insomma, posso anche smettere! Ci sono tan­ti giovani presidenti non ancora quarantenni molto bravi. Per me Viola resta un esempio, una figura unica. Pensate alle polemiche con Boni­perti e paragonatele alle liti Lotito-Galliani di oggi. Non c’è partita, anche se questa è un’altra Italia e un altro calcio. Nessuno vuole lasciare più un segno. Abbiamo perso il gusto di fare. Mio padre faceva il falegname e mi ha sempre inse­gnato a tenere la testa su quello che sto facendo. Nessuno combatte più per rimanere nella sto­ria, neppure in quella del proprio quartiere». Il mondo della pallavolo è diverso da quello del calcio?«Sono due universi paralleli. Il calcio è davve­ro un mondo a parte, tutto costa di più. Ma io mi sono fatto una maglietta con su scritto: e chi se ne frega». Quale sarà il suo derby il prossimo anno? «Sicuramente Siena-Fiorentina. Ci preparere­mo sin dal ritiro per questa gara». Che cosa dovrà succedere affinché Roma ab­bia un palasport tutto per il volley? «Vorrei al più presto presentare al Comune di Roma un progetto completo e moderno. Penso ad un’Arena come quella di Berlino, capace di essere modulare. Il volley può diventare un pez­zo del tempo libero dei romani. Il primo passo per creare un sistema M. Roma autonomo e in grado di esistere anche dopo di me. Quanto tem­po ci vorrà per costruirlo? Oggi come oggi servi­rebbero 12 anni. Spero di poterlo fare, dal mo­mento in cui si parte, in due o tre anni». Di questo Siena che è andato in A cosa rimar­rà?«La nostra politica è la valorizzazione del gruppo. Quando sono arrivato a Siena non esiste­va nulla. L’allungamento del contratto a Vergas­sola e la possibilità di diventare poi dirigente è il primo passo di un progetto che punta a creare una struttura solida»