(Il Romanista – M.Macedonio) - «Quando si giocano partite come questa, sto sempre in difficoltà. Ciò non toglie che, sulla carta, la Roma è certamente favorita, sul piano tecnico e qualitativo. Ma attenzione. Perché non sempre vince il più bravo. Il calcio è bello per questo. Affascinante e spesso senza una logica. Perché, come dico sempre, bisogna essere bravi, ma anche fortunati».
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Mazzone: «Luis è bravo Col tempo sarà grande»
(Il Romanista – M.Macedonio) – «Quando si giocano partite come questa, sto sempre in difficoltà. Ciò non toglie che, sulla carta, la Roma è certamente favorita, sul piano tecnico e qualitativo. Ma attenzione. Perché non sempre vince...
Parla da doppio ex, Carletto Mazzone, almeno come allenatore. Sulla panchina del Lecce dall’86 al ‘90 - una promozione in A al secondo tentativo (ma il primo anno era subentrato in corsa), seguita da due stagioni concluse con la meritata salvezza - e poi su quella della Roma, sognata fin da bambino, che lo vide protagonista dal ’93 al ’96, giusto all’inizio dell’avventura di Franco Sensi alla presidenza della Roma. Due squadre e due tifoserie, ma anche due colori, il giallo e il rosso, per quanto differenti cromaticamente, a cui l’ex tecnico è rimasto legato, in misura diversa ma con immutato affetto.
«E’ proprio così. Ho dei bellissimi ricordi di quella città, dove ho conosciuto tante persone straordinarie e un ambiente eccezionale. E dove l’affetto è stato reciproco. Facemmo anche dei buoni campionati…».
Una buona squadra quella che lei ebbe allora, soprattutto in quelle due stagioni in A. Con un altro ex romanista, Ubaldo Righetti, che lei avrebbe portato con sé anche a Pescara l’anno successivo.
«È vero. C’era lui, ma c’era anche Moriero, che feci debuttare. E poi, Barbas, Pasculli…».
Nomi, ahimé, che riportano alla mente un altro Roma-Lecce di ben più funesta memoria. Quello dell’86, quando quella disgraziata sconfitta in casa per 2-3 contro una squadra già retrocessa, costò un ormai quasi certo scudetto. Ma lei, fortunatamente, non c’era e non c’entra quindi nulla con quell’episodio…
«Lo ricordano bene là e molto meno bene i tifosi romanisti. La riprova di come le piccole possono mettere in difficoltà le grandi, soprattutto quando meno te lo aspetti. A Lecce, comunque, sono stato molto bene. Lo dimostra il fatto che continuo ad avere bei ricordi di allora. Diverso è il caso di quei posti in cui ti sei trovato male e che, per questa ragione, non restano dentro più di tanto»
. Lei ha girato molte squadre ma è stato quasi sempre molto amato dai tifosi
. «Onestamente devo dire che, forse perché ero simpatico, credo di aver lasciato buoni ricordi dappertutto. E questo mi fa piacere. È una cosa che si avverte soprattutto quando si va in pensione e si incomincia ad invecchiare, come accade a me. E allora, quando sto da solo con me stesso, mi faccio i complimenti, per essermi comportato bene e aver stabilito bei rapporti con tutti. Ovunque».
Torniamo a questo Roma-Lecce.
«La Roma sta facendo qualcosa di importante, però bisogna darle del tempo. Quando, all’inizio, ho espresso delle perplessità riguardo al tecnico, l’ho fatto perché da sempre vado sostenendo che è l’esperienza che fa l’allenatore. E non solo nel calcio. Non bastano la tecnica, la tattica e la fisicità, che pure vengono insegnate nelle scuole come Coverciano. Serve anche la psicologia, che è l’arma vincente di un allenatore e che si acquisisce solo con la maturità e l’esperienza. Tanto più in una piazza come Roma, dove le pressioni da gestire sono tantissime. Io stesso, al mio primo anno con l’Ascoli, mi trovai a pensare di essere bravo. Dieci anni dopo, mio fratello gemello – che sono sempre io – nel ripensare a ciò che m’ero detto da solo, mi fece capire quanti errori avevo commesso nel frattempo. Questo per dire che un tecnico giovane può essere bravo, e Luis Enrique certamente lo è, ma col tempo potrà esserlo anche di più».
Forse conta anche l’intelligenza. Che permette di capire come meglio relazionarsi. Pensiamo ad esempio a Guardiola, che lei conosce bene.
«Lui è l’eccezione che conferma la regola».
A Luis Enrique, quindi, cosa bisogna augurare?
«Tranquillità e serenità. Lui ha portato qualcosa che conoscevamo ma che da anni non veniva più realizzato. Il possesso palla, che è ciò che predicavo anche io. “Palla a terra” dicevo, perlomeno dove ho avuto i giocatori per farlo. Luis Enrique li ha, perché i giovani che ci sono in questa Roma sono tutti di grande qualità. Anche loro devono solo acquisire esperienza. E i risultati, a quel punto, non potranno non venire».
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