(Il Romanista - M.Macedonio) -"La fiaccolata a fine partita è quello il ricordo pià bello che ho di quel giorno». Ce l’ha ancora negli occhi, Pedro Waldemar Manfredini, lo stadio Olimpico illuminato da quelle torce improvvisate (altro che accendini! Sarebbero mai consentite oggi?) quando si era ormai all’imbrunire.
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Manfredini: “Che fiaccolata”
(Il Romanista – M.Macedonio) – “La fiaccolata a fine partita è quello il ricordo pià bello che ho di quel giorno». Ce l’ha ancora negli occhi, Pedro Waldemar Manfredini, lo stadio Olimpico illuminato da quelle torce...
Non c’era infatti l’ora legale, allora, e alle 6 del pomeriggio di quell’11 ottobre, al termine della gara, era già buio. «Sembrava quasi – racconta l’ex centravanti – che si fossero messi tutti d’accordo nel dar fuoco ai giornali per creare quella coreografia. Stupenda. Che emozione!». Pari almeno alla conquista di quel trofeo, vinto battendo 2-0 il Birmingham. «Era la prima volta che una squadra italiana vinceva una coppa europea. E quella delle Fiere, perché qualcuno non la sminuisca, altro non era che la futura Coppa Uefa». Cinquant’anni oggi da quel giorno, con Giacomino Losi che la sollevava al cielo dopo averla ricevuta dal presidente della Fifa, Stanley Rous
«Lo ricordo bene. Alto, anche più di Cudicini, capelli bianchi e rosso in viso. Ci strinse la mano, uno per uno, mentre Losi lo accompagnava presentandoci. Fa effetto pensare che è passato mezzo secolo. Ma di quella gara ho ancora nella mente tutti i 90 minuti». Andiamo per gradi. Una finale, quella dell’Olimpico, che aveva visto la gara di andata giocarsi in casa degli inglesi, e finire 2-2, con lei, Manfredini, anche in quel caso, mattatore. Feci tutti e due i gol, uno nel primo tempo e uno nel secondo, ma loro riuscirono lo stesso a pareggiare. Come tutti le squadre inglesi, almeno in quegli anni, erano forti sul proprio campo, ma molto più vulnerabili fuori casa. Quel giorno, Cudicini fece il fenomeno. Loro avranno messo in area trecento cross. Ma lui c’era sempre, su tutti. Doppia finale, tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, ma con i turni di qualificazione archiviati già dalla stagione precedente, quando in panchina sedeva Foni, e non ancora Carniglia. Con i gol di Manfredini, puntuali, anche nei turni precedenti. Ne avevo segnati due nel ritorno di semifinale con gli scozzesi dell’Hibernian (3-3, ndr). E addirittura quattro nel 6-0 con cui li battemmo nello spareggio, a fine maggio. Che giocammo a Roma, perché non esisteva il campo neutro, ma era la monetina a decidere.
Torniamo alla stagione ‘61/62, che è anche quella della prima edizione dell’albumPanini… E la mia figurina valeva almeno quanto 7-8 degli altri. Mica poco… Un rapporto non facile, quell’anno, con Carniglia, anche se vi legava la comune origine argentina e l’essere entrambi figli di immigrati italiani… Ero suo amico, ma è anche vero che ci fu qualche attrito, perché mi diceva che non andavo bene per il gioco che intendeva fare. Provò anche ad escludermi in qualche partita, che la squadra perse regolarmente. Ricordo una sconfitta in casa, addirittura con il Vicenza. Successe il finimondo. E infatti, l’anno dopo pagò con l’esonero quella scelta. E ritornò proprio Foni… Quando rientrai in squadra, andammo a Palermo e feci tre gol. La stampa scrisse che era perché in porta avevo visto Carniglia. Quella serata di ottobre, però, resta magica. So che conserva ancora il pallone di quella partita. Oggi ce l’ha mio nipote, con tutte le firme che ci feci mettere, perché ho voluto regalarglielo. E’ uno di quei palloni di cuoio, marroni, con le impunture, come si usavano allora. E che, quando si bagnavano, pesavano almeno due chili. Era terrificante! Non come quelli di oggi, che pesano sempre mezzo chilo, anche quando piove. Ma oggi è cambiato tutto, non solo i palloni. Proviamo a ricordare quei 90 minuti. Bella squadra, quella…
C’era Losi capitano, Cudicini in porta, e poi Lojacono e Angelillo mezz’ali. Con Orlando all’ala destra e Menichelli a sinistra. E ancora, Fontana, Corsini, Carpanesi. E Pestrin, che segnò il 2-0 allo scadere. E dire che quel giorno mancavano Guarnacci, Schiaffino… Andammo in vantaggio grazie a un’autorete. Ma l’azione era nata da uno scambio tra me e Lojacono, che mi aveva ridato la palla di tacco, con una giocata un po’ strana. Ricordo che gliela restituii, perché era giusto di fronte al portiere, ma il difensore (Farmer, ndr) allungò la gamba e la mise in porta. Come festeggiaste, dopo la gara? Andammo tutti a cena, compresa la squadra avversaria. Perché allora si usava così. E loro, devo dirlo, dimostrarono tutta la loro sportività, che è tipica degli inglesi. Veri uomini. Molto più corretti di noi. Perché magari ti fanno anche fallo, ma mai con la cattiveria o l’intenzione di far male. Da loro non è ammesso, come non lo è simulare. Dicevamo dello stadio in festa… E’ vero, era pieno. Ma, a quei tempi, lo si riempiva sempre e comunque. Anche quando si giocava con la Spal o il Modena… Ho ancora le fotografie, bellissime. Che spettacolo, l’Olimpico in quegli anni! Ma anche in quelli successivi. E se sono rimasto a Roma, è anche per questo. Per la gente che ancora mi ferma e mi saluta. Perché vuol dire che qualcosa di buono ho fatto. E forse, anche quella coppa sta lì a testimoniarlo.
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