(Il Romanista - L.Pelosi) - Mai scudetto fu più meritato, sì. Perché mai scudetto fu più cercato. Mai la Roma l’ha voluto così tanto. Mai, probabilmente, una squadra ha avuto bisogno di vincerlo così tante volte in una sola annata.
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Mai scudetto fu più cercato, voluto e meritato
(Il Romanista – L.Pelosi) – Mai scudetto fu più meritato, sì. Perché mai scudetto fu più cercato. Mai la Roma l’ha voluto così tanto. Mai, probabilmente, una squadra ha avuto bisogno di vincerlo così tante volte in una sola...
L’ha vinto prima ancora di cominciare, perché era necessario far sparire fin da subito quella roba che era successa a maggio del 2000. Prima che ci pensasse la squadra, l’hanno vinto società e tifosi. Piazza affari, è la parola d’ordine. Franco Baldini ne piazza due niente male, prendendo in anticipo su tutti Samuel ed Emerson (e respingendo il tentativo disperato del Milan di convincere il brasiliano). E a Piazza Affari, appunto, viene quotata anche la Roma. Ci vuole la Borsa, per aprire i cordoni della borsa. Così Franco Sensi con un vero e proprio atto di forza, tira per i capelli e per il portafogli Batistuta, che s’è già promesso all’Inter. Un miliardo al mese a lui, più di 70 a Cecchi Gori, che il 23 maggio, giorno della firma, è a letto con la febbre. Pochi giorni dopo, ci sono 18mila persone in Curva Sud per la presentazione del bomber argentino, annunciato da un Carlo Zampa che si appresta a diventare la colonna sonora vivente dell’annata. E’ uno sterminato presagio collettivo. Quando segnerà / sotto la curva ce la fa mitraglia.La farà una volta sola, nel derby. “Mitraglia” è il nome che compare sul display di Francesco Totti, quando chiama Batistuta. La scena si ripete per Emerson, Zebina, Samuel, Guigou e il romantico ritorno di Balbo. «Ora i cinque campioni li ho comprati sul serio». L’autoironia è una virtù da forti e Franco Sensi si sente tale. Anche i tifosi vincono subito lo scudetto. Gli abbonati sono 46 mila, quelli della Lazio che ha già un buco sul petto ma non lo sa, sono 24mila. In un precampionato balbettante, il 19 agosto esordisce Emerson, contro l’Hertha Berlino. All’erta, però: il brasiliano, che aveva affrettato i tempi di recupero dopo un infortunio subito ad aprile col Bayer Leverkusen, si fa nuovamente male: è saltato il legamento crociato e, con lui, saltano anche i piani di Capello. Pochi giorni dopo, 60mila persone applaudiranno il giocatore in occasione della presentazione contro l’Aek Atene, fino a farlo commuovere. Un mese dopo, a Tor di Valle, vedendolo tra gli spettatori del suo concerto, Antonello Venditti gli dedicherà “Correndo, correndo”. Accanto a lui la società piazza Pato, che gli fa da ombra come fece per Falcao. A lui che s’è fatto il crociato come Ancelotti e al quale vengono dedicate le canzoni scritte per Sebino Nela. C’è pure Nils Liedholm, consulente personale di Franco Sensi, in questa storia che non può non guardare al 1983. Il 24 settembre, però, la Roma perde 4-2 a Bergamo e si fa eliminare dalla Coppa Italia dall’Atalanta. No, forse non avete capito, quest’anno niente scherzi. La gente lo dice a Trigoria e per farsi sentire meglio qualcuno spacca anche i finestrini delle macchine dei giocatori. Neanche Totti e Batistuta, tra i pochi risparmiati, riescono a calmare le acque. Capello accusa la squadra («Errori puerili»), Totti risponde: «La colpa è anche sua». Nel frattempo Zago, in polemica col tecnico, ha chiesto di essere ceduto, e Batistuta e Montella hanno già litigato per la maglia numero 9. In questo clima, il 30 settembre, comincia il campionato. All’Olimpico arriva il Bologna, che schiera due futuri giallorossi, Tonetto e Castellini. Il precampionato ha detto che la squadra rischia di meno con la difesa a tre, che permette a Capello di liberare le fasce per Cafu e Candela. Sarà la mossa chiave della stagione, assieme a Delvecchio “finto attaccante” per mettere Totti più vicino a Batistuta e a Tommasi centrale di centrocampo. Già, ma Tommasi non è titolare nella prima Roma che fatica e che per ben 3 volte viene salvata da Antonioli. La contestazione è pronta ad esplodere quando al 2’ di recupero del primo tempo Assunçao pennella una punizione per Totti, che di testa scaccia tutti i fantasmi, esultando a passo di danza. Nel secondo tempo entra Tommasi e non uscirà più fino al termine della stagione. L’autogol di Castellini (ma qualcuno l’ha almeno ringraziato, nel corso di quest’anno?) chiude i giochi, ma la vana corsa di Batistuta per cercare di toccare quel pallone che sta entrando in rete la dice tutta sulla ferocia dell’argentino. E’ il suo momento. Batistuta spacca la porta del Lecce con il colpo di testa più forte mai visto, segna anche al Vicenza e, dopo il ko rimediato a Milano contro l’Inter (dove Hakan Sukur va a far compagnia ai carneadi che vivono i loro momenti di gloria solo contro la Roma), fa vincere per la prima volta lo scudetto alla Roma. A Brescia serve una reazione e la squadra si ritrova sotto 2-1. Lui ne fa 3 nel secondo tempo e chiude i giochi. E pensare che si porta dietro un fastidio al tendine rotuleo che non gli permette di allenarsi. Quando non c’è, ci pensa Montella, come nel 2-1 alla Reggina che riporta la Roma in vetta alla classifica da sola. C’era stata già dopo la terza giornata, ma ora non mollerà più il primo posto. Seconda è l’Udinese, la Juve e la Lazio sono a meno 4, il Milan a meno 7, l’Inter a meno 8. E dopo un entusiasmante 4-1 a Verona, con una splendida Curva che canta Dammi tre punti, sulle note di Alan Sorrenti, per almeno 35 minuti di fila, la Roma vince ancora una volta lo scudetto. Siamo in piena Bati-mania. Quando arriva Batistuta e la sua chioma al vento senti i rami che si spezzano, gli squilli di tromba, la terra che trema. Re Leone, Arcangelo Biondo, quanno te prendo te sfonnno, Irina ti invidio. Ma il 25 novembre Batistuta sfida se stesso, cioè la Fiorentina. E’ una partita che la Roma prova a vincere senza di lui, perché il Re Leone in campo c’è ma non si vede, forse paralizzato dall’emozione. Ma, dopo un primo tempo dominato, lentamente la formazione giallorossa si spegne. Ci prendiamo il pareggio? Forse lo pensano pure Zago e Guigou, mentre, uno di piede e l’altro di testa, aggiustano il pallone per Batistuta, vari metri fuori area. Un attimo dopo la rete si gonfia, la Roma vince una partita che non riusciva a vincere, è chiaramente un segnale soprannaturale. Forse Batistuta è soprannaturale, forse le mani di Toldo si sono bucate. E’ un mostro? No, è un uomo. E piange, dopo aver fatto gol alla Fiorentina. Dietro al portafogli, un cuore ancora c’è. Eppure, al ritorno i tifosi viola lo fischieranno. Non se lo meritavano. Il 9 dicembre, dopo uno 0-0 a Perugia, si trova un altro modo di vincere lo scudetto. Dominando. Contro l’Udinese, la Roma è una furia che non può rallentare nemmeno volendo, gli avversari sperano che i 90’ passino in fretta, imbarazzati di fronte a una tale disparità tecnica, tattica, atletica. Il caso ha pietà di loro e la partita finisce solo 2-1. Non è un caso, però, che quel giorno Totti segni uno dei suoi gol più belli, sinistro al volo da dentro l’area a incrociare. In tribuna infatti c’è Platini, che il giorno prima lo ha criticato con la solita puzza sotto al naso che pensa di sentire solo lui. E’ costretto ad alzarsi in piedi ed applaudire. Le Roi è morto, viva il Re. Viva la Roma, la Roma del 17 dicembre. La Roma del valzer che Cafu balla col pallone sulla testa di Nedved, la Roma che vince il derby esattamente come te lo sogni: su autogol, contro una Lazio che ha un buco sul petto. Paolo Negro-go. Dammi tre punti cantato per 40 minuti, più che a Verona. I tre punti dopo una breve flessione poi arriveranno per 7 volte consecutive. Mai striscia di vittorie fu più lunga. Prima di allora la Roma non aveva mai vinto più di 6 partite consecutive, e le 11 di Spalletti dovevano ancora arrivare. Cadono Napoli, Parma, Bologna, Lecce, Vicenza, Inter e Brescia. In alcune di queste occasioni (doppietta di Batistuta a Parma nel finale di una partita maledetta vinta 2-1, gol di testa di Montella al 90’ contro l’Inter) la Roma vince ancora una volta lo scudetto. Ma prima di questa serie l’ha vinto anche Capello, che dopo l’1-1 casalingo contro il Bari tuona: «Ho visto troppi giocatori in tv, troppe interviste, non abbiamo ancora fatto niente». Tutti in silenzio. D’altronde lui decide tutto a Trigoria, pure le maglie da indossare in trasferta. Dopo il 3-2 rimedia
to a Milano, che fa avvicinare la Juve, il messaggio cambia: «Stasera ho capito che vinceremo lo scudetto». Intanto è tornato (anzi, ha esordito) Emerson, si è fatto male Batistuta ma ha cominciato a segnare Montella. Lo 0-0 in casa della Reggina interrompe la serie, ma è comunque un bel giorno, perché la Lazio batte 4-1 la Juventus e ci fa un discreto favore. Loro non lo sanno, perché ancora non hanno capito di avere un buco sul petto. Liquidato il Verona (massimo vantaggio: più 9 sulla Juve), la Roma incappa nel terzo ko del campionato a Firenze, di lunedì. Hanno dovuto subire anche questo i tifosi (rigorosamente “tutti parrucchieri”), che si sono visti scegliere per Vicenza-Roma Udine come campo neutro (?) e hanno visto “cadere” Alessandro Spoletini dagli spalti del Dall’Ara. Owen e Garcia Aranda ci eliminano dalla Coppa Uefa, ora non ci resta che vincere. Ma in casa col Perugia è solo 2-2 e poteva andare peggio. Una clamorosa papera di Antonioli fa esplodere la rabbia della Sud contro il proprio portiere ed è lì che viene fuori la grandezza di Francesco Totti. Lì, oltre che sul campo, vince lo scudetto. Prima difende il suo compagno di squadra mentre la gente lo contesta, poi, pur essendo squalificato, si reca a Udine per Udinese-Roma. E’ troppo importante, in campo c’è Nakata, che segna pure e la Roma torna a vincere (3-1). Ci siamo. 6 giornate alla fine, 6 punti di vantaggio, 6 maggio. E’ il giorno del giudizio, Juventus-Roma. E’ opinione comune che basti non perdere. Niente di peggio, per la Roma. Zidane e Del Piero segnano subito e per poco Antonioli non regala a Davids il 3-0. I bianconeri controllano, la Roma sparisce. Al 38’ del secondo tempo però dal nulla, anzi da una trentina di metri, Nakata pesca dal suo repertorio un destro imprendibile per van der Sar. E’ lo stesso minuto in cui, la domenica prima, la Lazio ha accorciato le distanze nel derby per poi fare 2-2. Come non pensarci? Al 90’ van der Sar prende il tiro di Nakata, ma lo respinge a centro area. Montella s’inventa una specie di mezza girata al volo, tutto storto e, come sempre, arriva prima di tutti. 2-2, stavolta è fatta davvero. Per almeno un’ora il silenzio di Torino è rotto dai cori dei tifosi giallorossi, che non smettono di cantare all’interno del Delle Alpi vuoto. Nakata e Montella, chissà quante volte si saranno parlati nei lunghi pomeriggi trascorsi in panchina, confezionano anche il gol vittoria contro l’Atalanta. Anche quel giorno si vince lo scudetto, con la parata di Antonioli su Marco Nappi, romanista almeno quanto Storari. Ma la Roma ha bisogno di vincere lo scudetto ancora qualche altra volta. Con i tifosi, che invadono Bari e rischiano la vita a Napoli. Con il pallonetto di Montella a Sebastiano Rossi che regala il pareggio contro il Milan poco prima che Dalmat fissi sull’1-1 anche Inter- Lazio (giocata a Bari, forse qualche tifoso era rimasto lì) e Totti si produca nell’esultanza più romanista di sempre. Con Franco Sensi. Dopo che a Napoli, dove la Roma manca il primo scudetto-point pareggiando 2-2 e Montella, prima che Capello gli conceda 6 “riveriani” minuti nel finale subito dopo il gol di Pecchia, prende a bottigliate il suo futuro collega, il presidente li prende entrambi per le orecchie giusto per ricordare che in ballo c’è qualcosa di più importante. Perché, come diceva Agostino, «la Roma che vince lo scudetto è il sogno che ci raccontavano i nostri padri». Questo lo racconteremo ai nostri figli. Mai nessuno fu più meritato. L’ha detto perfino un laziale.
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