(Il Romanista - C.Zucchelli) Questa Roma ha il coraggio dei sentimenti. Delle cose belle e difficili. Delle cose che, anche se sono passati poco più di due mesi dai giorni di Riscone, sono già chiare. Nitide. Questa Roma fa innamorare perché ha radici, appartenenza rosso sangue, occhi lucidi, sogni, utopie e rivoluzione.
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«Voglia di vincere. Daje Roma»
(Il Romanista – C.Zucchelli) Questa Roma ha il coraggio dei sentimenti. Delle cose belle e difficili. Delle cose che, anche se sono passati poco più di due mesi dai giorni di Riscone, sono già chiare. Nitide. Questa Roma fa innamorare...
Quella dei sentimenti. È una Roma più romanista di altre, questa. È una Roma che parla attraverso Twitter ("daje" scriveva ieri Luis Enrique), che si racconta negli abbracci sotto la pioggia di San Siro, nella serenità del ritorno in aereo, nelle battute che i giocatori fanno perché «se dovemo sbriga’ a segna’», che cerca e trova fiducia in un allenatore che vuole sorprendere ma ama, anche e soprattutto, farsi amare. E ogni amore che si rispetti non può essere una cosa semplice.
Richiede pazienza, richiede dedizione, richiede anche qualche momento di pausa. Per questo sabato sera, poco dopo la fine della partita, Luis Enrique ha annullato l’allenamento previsto per ieri pomeriggio e ha lasciato una giornata libera a tutti, giocatori e staff. Stamattina si ritroveranno a Trigoria per preparare la partita di giovedì sera all’Olimpico contro il Siena dove l’obiettivo, dopo i progressi mostrati al Meazza, è uno solo: vincere. Luis Enrique lo dice chiaro e tondo: «Voglia di vincere e di ringraziare tutti i nostri tifosi. La squadra s’impegna molto. Vedremo giovedì prossimo. Saluti a tutti. DAJE ROMA!».
Poche parole, scritte prima di andare a pranzo con il mental coach Llorente e il campione di basket Jordi Villacampa, che servono a raccontare lo stato d’animo dell’allenatore romanista. Si può in 140 caratteri? Sì può, soprattutto quando non aumenta solo la confidenza con l’italiano, ma anche quella con tutto ciò che lo circonda. Luis Enrique non è più solo l’allenatore della Roma, sente di esserlo dentro. Si sente la guida di un gruppo di giocatori che, giorno dopo giorno, magari superando anche qualche perplessità di natura tattica (vedi Perrotta e Taddei terzini con tre terzini di ruolo in panchina) è completamente dalla sua parte. Lo segue. Lo aiuta. Aspettando quei risultati che poi sono il pane quotidiano. Perché va bene l’amore, vanno bene i sentimenti, vanno bene i sogni, ma poi arriva il momento di essere concreti. Di fare gol e di vincere le partite. Una dedica pronta già c’è: è quella per Maarten Stekelenburg, che ieri ha lasciato l’ospedale Niguarda per tornare a casa. I compagni lo hanno riempito di messaggi, pubblici e privati. José Angel ha scritto, sempre su Twitter, «Vamos Stekelenburg», poi ha pubblicato una foto del portiere con una didascalia chiara: "Ko! Ok".
Anche Llorente ha dedicato i suoi pensieri al portiere olandese, dicendo che «la notizia più bella di oggi è la sua uscita dall’ospedale». Tutti lo aspettano in campo, ci vorrà qualche settimana, ma la Roma è pronta ad accoglierlo di nuovo. Così come è pronta ad accogliere di nuovo quei giocatori che adesso sembrano più in difficoltà: Bojan, ad esempio, rimasto in panchina per 90 minuti a San Siro. Ma anche Osvaldo, che contro l’Inter si è beccato più di qualche rimprovero da Luis Enrique, e Borriello, che certo non gradisce di giocare un quarto d’ora a partita.
Con loro Luis Enrique parla e continuerà farlo, così come gli altri membri del suo staff. Italiani e spagnoli, un unico gruppo. Gli spagnoli sembrano quasi vivere per la Roma: leggono tutti gli articoli di giornale, assistono sempre alle conferenze di Luis Enrique, si sono calati anima e corpo in questa nuova avventura. Anche Moreno, dopo la partita di San Siro, ha voluto «fare i complimenti ai giocatori»: non lo ha fatto solo con un tweet, ma entrando in campo subito dopo il fischio finale. Una piccola grande rivoluzione - anche questa - che cresce nella grandezza dei piccoli gesti. Senza nascondere i problemi, ma avendo il coraggio di affrontarli. È così che l’amore cresce. È così che si vince. La prima cosa è già successa (e Luis Enrique spera che questo amore si riversi ancora una volta al botteghino, visto che si augura di vedere tanti tifosi allo stadio giovedì sera), adesso manca la seconda. Il passo in più. Quello che manca da una vita, visto che l’ultima volta che la Roma ha vinto una partita ufficiale era il 22 maggio. Giovedì andrà fatto di nuovo e sarà il 22 settembre.
Quando saranno passati quattro mesi da quel successo contro la Sampdoria. E quando, soprattutto, sarà trascorso un anno dallo scempio di Russo di Nola al Rigamonti di Brescia. Una notte indimenticabile. Una notte in cui ai giocatori della Roma fu promesso un regalo in caso di vittoria e la squadra rispose "no grazie, siamo professionisti non ne abbiamo bisogno per provare a vincere". Sono passati 365 giorni, il coraggio dei sentimenti è rimasto lo stesso. È cambiato tutto quello che c’è intorno. Quella Roma lì si sgretolò, questa ha appena iniziato a costruirsi. È una cosa bella, questa Roma qui. E i tifosi se la tengono stretta.
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