rassegna stampa roma

L’uomo simbolo sempre più ai margini

(Corriere della Sera – L.Valdiserri) La penultima aveva lettere d’oro ed era l’espressione di una gioia senza confini: «The king of Rome is not dead».

Redazione

(Corriere della Sera - L.Valdiserri) La penultima aveva lettere d’oro ed era l’espressione di una gioia senza confini: «The king of Rome is not dead».

Era la frase di un telecronista inglese che aveva commentato così la doppietta del capitano nell’ultimo derby, quello della «manita». Il re di Roma non è morto.A Francesco era piaciuta e l’aveva trasformata in una maglietta.

L’ultima t-shirt tottiana, invece, è stata mostrata ieri a Trigoria, in occasione di un allenamento al quale non ha preso parte (ha fatto fisioterapia), ma prima del quale c’è stato il breve faccia a faccia con Luis Enrique. Sulla maglietta c’era scritto: «Basta!».

Quella fra Totti e le t-shirt è una storia lunga. Le più famose rimangono quelle mostrate dopo un derby vinto («Vi ho purgato ancora!») e quelle per Ilary Blasi in versione bellezza da conquistare («6 unica!») e moglie («6 sempre unica!»).

Il discorso è anche commerciale. Da anni una buona parte del contratto di Totti (8,5 milioni di euro lordi fino al 2014) si ripaga con la vendita del merchandising ufficiale della Roma che porta il suo nome e numero. In giro per Roma e per il mondo ci sono tantissime magliette giallorosse con il 10 e nessuna con il nome di Okaka o Caprari, i due scesi in campo contro lo Slovan Bratislava al posto del capitano e di Borriello.

L’Inter ha separato bruscamente la sua strada da quella di Sandro Mazzola. Il Milan di Berlusconi ha praticamente rimosso Gianni Rivera. Il Real Madrid ha scaricato Raul allo Schalke 04 come fosse un rottame. Tutto vero. Però Totti e la Roma sono una storia unica nella storia del calcio.

L’Inter ha avuto Meazza, Suarez, Ronaldo. Il Milan Baresi, Maldini, Van Basten. Il Real Madrid Di Stefano, Puskas, Zidane. Roma ha fatto nascere e crescere il suo simbolo calcistico, immedesimandosi in lui come fosse il figlio di tutta la città. Quella romanista, almeno. La più numerosa e appassionata, fino a preferire in molti casi il bene del suo prediletto a quello della squadra stessa.

Gli anni, gli acciacchi, gli infortuni patiti in 610 partite tutte in giallorosso lo hanno reso meno indispensabile ai suoi allenatori. Con Spalletti, che lo ha inventato centravanti, c’è stato un rapporto professionale, ma non l’amore padre/figlio di Mazzone o la venerazione reciproca di Zeman.

Ranieri l’ha buttata sul romanesco, ma poi gli ha fatto giocare solo i minuti di recupero in Sampdoria-Roma. Luis Enrique lo ha trattato come l’ultimo arrivato. È in atto una detottizzazione della Roma? I dirigenti giallorossi negano. Però, in tempi ristretti, hanno accusato Totti di «pigrizia» (Franco Baldini), hanno confessato che la scelta di Luis Enrique è stata fatta per dare «discontinuità» (Walter Sabatini; ecco perché Vincenzo Montella non è più sulla panchina romanista, nonostante doti indubbie) e l’hanno tenuto in panchina per 72’ nella prima gara ufficiale della stagione (Luis Enrique). In tutto ciò, Totti non ha mai parlato. T-shirt esclusa.

Lo ha fatto, semmai, Ilary: «Pigro Francesco? Mi pare un insulto ». Ieri è intervenuto Claudio Fenucci, l’amministratore delegato che in poche settimane ha studiato l’iniziativa dell’abbonamento «alternativo» alla tessera del tifoso, destinato un settore dello stadio solo per le famiglie e studiato nei dettagli il contratto che ha portato Bojan alla Roma praticamente a costo zero: «Si è dato troppo risalto a una scelta tecnica dell’allenatore, che non riguardava soltanto Totti». Vero. Fenucci è stato finora il miglior acquisto della campagna giallorossa. Peccato non possa anche fare gol. Un compito che, dal 4 settembre 1994 (Roma-Foggia), in maglia giallorossa tocca a Francesco Totti.