(Gazzetta dello Sport - M.Cecchini) Tranne gli ultimi giorni, in cui è sopraggiunta una serenità che sapeva di rassegnazione, se ne sono andati nello stesso modo in cui hanno gestito la Roma: lottando.
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L'ultimo atto dell'impero dei Sensi
(Gazzetta dello Sport – M.Cecchini) Tranne gli ultimi giorni, in cui è sopraggiunta una serenità che sapeva di rassegnazione, se ne sono andati nello stesso modo in cui hanno gestito la Roma: lottando.
La famiglia Sensi esce di scena ma, anche se non lo diranno mai, è probabile che nel cuore di ciascuno loro — forti di una bacheca arricchita da uno scudetto, due Coppe Italia e due Supercoppe Italiane — ci sia un desiderio: quello di essere rimpianti.
D’altronde, 18 anni sono una fetta di vita importante per tutti, figuriamoci per chi ad un certo punto ha scoperto che passione ed affari si erano trasformati in un groviglio inestricabile.
STORIA E VITTORIE Una cosa è certa: l’impero dei Sensi adesso non c’è più. Da Franco a Rosella la ricchezza multiforme che spaziava dal petrolio al settore agro-alimentare, dagli immobili all’editoria, si è sgretolata, e di sicuro le tre sorelle Sensi (Rosella, Maria Cristina e Silvia) cechovianamente hanno ereditato errori strategici altrui. Alla fine, con malinconico paradosso (viste le perdite in bilancio), anche dal Scudetto 2001 e Coppe prima del grande crollo economico. «Ma abbiamo fatto tanto e anche bene» punto di vista imprenditoriale la Roma era rimasta il solo fiore all’occhiello di Italpetroli, la holding di famiglia, grazie a cui appena un decennio prima papà Franco poteva permettersi di dire: «Ho così tanti soldi che potrei fare una guerra» .
I colori giallorossi, comunque, sono stati sempre quelli di famiglia. Franco Sensi, infatti, dal 1958 al 1962 ricoprì la carica di vicepresidente. Stoppato dalla politica nella successione a Dino Viola, prese possesso del club nella primavera del 1993, quando insieme a Pietro Mezzaroma rilevò il club dal Tribunale fallimentare di Frosinone.
Sei mesi dopo, a novembre, Sensi liquidò con 60 miliardi di lire il suo socio e divenne padrone incontrastato e — grazie anche all’entrata in Borsa del maggio 2000 — portò in dote gente come Capello, Balbo, Cafu, Candela, Batistuta: campioni veri. Poi, vinta la crociata per i diritti tv da gestire autonomamente, la Roma pensò di essere entrata in un’età nell’oro— benedetta dallo scudetto e dalla Supercoppa 2001— che non doveva mai avere fine. Non andò così.
Una società che spendeva circa 100 milioni a stagione solo per gli stipendi, alla fine del 2003 si ritrovò in una crisi solo mascherata dalle (allora permesse) plusvalenze fittizie. Nel marzo 2004, fallita la cessione della Roma ai petrolieri della «Nafta Moskva» , la famiglia dovette ristrutturare il suo impero, che aveva accumulato debiti per circa 665 milioni, aprendo la porta a Capitalia (poi UniCredit) come partner al 49%.
Da quel momento i Sensi cominciarono una dolorosa opera di risanamento dei conti, passata attraverso cessioni eccellenti come quelle di Emerson, Samuel, Chivu, Aquilani. La mission è sostanzialmente riuscita, ma al prezzo di una crescente impopolarità, nonostante i risultati complessivi siano stati di rilievo, soprattutto se paragonati a quelli storici del club. La politica Paradossalmente, però, forse Rosella ha pagato anche la vittoria politica ottenuta dal padre. Franco Sensi — nel segno di una romanità verace — per anni ha ringhiato contro il cosiddetto «vento del Nord» , reclamando più giustizia sul campo (Calciopoli gli avrebbe dato ragione) e una diversa redistribuzione dei proventi. Una volta che tutto ciò è in gran parte avvenuto, la figlia Rosella— prima da a. d. e poi da presidente — ha ritenuto naturale riavvicinarsi agli antichi «nemici» , con cui è sopravvenuta ormai comunanza d’interessi, tant’è che la figlia del ruvido Franco è arrivata ad essere vicepresidente della Lega di Serie A e ora concorre per la poltrona principale.
Certo, il prezzo pagato non è stato indifferente. Prima c’è stato l’addio di Franco Baldini e poi il progressivo allontanamento di una parte della tifoseria. Gli ultimi anni sono storia nota. Dal caso Soros a (2008) a quello Fioranelli (2009) (vicende con spessori e serietà assai differenti) la famiglia Sensi ha dato l’impressione — a dispetto di gran parte della tifoseria — di voler restare aggrappata alla Roma. «Abbiamo fatto tanto e anche bene. Auguro le migliori fortune a chi verrà. Adesso mi piacerebbe fare la giornalista» , ha detto pochi giorni fa Rosella. Di sicuro avrebbe tanto da raccontare, ma il metro di misura della storia dei Sensi nel connubio con la Roma lo potrà dare solo il tempo. Tutto il resto al momento è tifo, polemica o interesse. Troppo poco per essere preso in considerazione.
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