(Il Romanista - T.Cagnucci) “Italianizzato” gli stanno dicendo. Piano con le parole, verrebbe da rispondere. Luis non si sente italiano e per fortuna, senza purtroppo, non lo è.
rassegna stampa roma
Lui(s) non si sente italiano
(Il Romanista – T.Cagnucci) “Italianizzato” gli stanno dicendo. Piano con le parole, verrebbe da rispondere. Luis non si sente italiano e per fortuna, senza purtroppo, non lo è.
Nel paese degli Scilipoti e delle scommesse a Singapore uno come Luis Enrique è per forza un ospite. Sgradito. Un convitato di pietra che tutti vorrebbero ammorbidire (sogni non di rock and roll ma di Delio Rossi) per poter dire: «Hai visto abbiamo vinto noi», o peggio: «Hai visto è come noi». L’altro dà fastidio. Branco intellettuale. Comitiva. Per sentirsi partecipi, perché come le comari del paesino non brillano certo d’iniziativa e non sanno che fare quando manca il cattivo esempio. Con chi me la prendo a quel punto? E se Luis Enrique vince che facciamo? Diciamo che è diventato come noi. Sì proprio come noi perché è grazie alle nostre critiche che è cambiato. Noi.
E’ il sogno di un micro mondo identico. Broda. Da quando è arrivato molti, non tutti – perché le generalizzazioni castrano ragionamenti e non onorano le passioni – non hanno fatto altro che attaccarlo perché colpire lui significava – e significa ancora – colpire la nuova Roma, l’idea e gli uomini che ci sono dietro. Persino Zeman era più digeribile, visto che a un certo punto Zeman andava di moda, era il fico del momento, il 4-3-3 il logo del nologo, la maglietta di Che Guevara venduta nei saloni di moda. Luis Enrique no. Luis Enrique è più “altro”, è un senza categoria, è il genere di se stesso. Viene da una serie B spagnola dove però se alleni la squadra di Luis Enrique non vale la classifica e quindi non vale nemmeno il miglior risultato della storia del Barcellona B. Così come non valgono gli attestati di stima del gruppo o di quasi tutti i colleghi o la benedizione di Sacchi.
Troppo “altro” ’sto Luis Enrique: ma chi è? Ma che me rappresenta? A un certo punto non valeva nemmeno più la Curva Sud (e questa è eresia, eresia romanista, ma eresia). La Curva Sud che dopo una sconfitta col Cagliari ha applaudito, che prima di una infreddolita grigia triste notte da metà classifica contro il Lecce ha esposto quel “mai schiavi del risultato” da lasciare senza fiato: manifestazioni chiari e belle e più fresche delle dolci acque, eppure mentre accadeva tutto questo la critica borbottava: «Eh ma la piazza avrà pazienza? Eh, alla fine parlate parlate di rivoluzione culturale ma senza i risultati il popolo scalpita»(...)
Non gli è parso vero quando per un equivoco a Firenze – di chi non conosce storie profonde del tifo romanista – di dire che ormai i tifosi avevano scaricato Luis Enrique. Ma dopo Udine e la catastrofe di Firenze erano più di cinquantamila a tifare per la Roma. Centomila occhi e neanche un fischio contro Luis Enrique. Pensa adesso. Pensa adesso che contro la super Juve, l’imbattibile e imbattuta Juve sei uscito strarammaricato per un pareggio, che hai strapazzato la favoletta napoletana d’Europa a casa sua, e lo hai fatto quando tutto era pressoché finito, a un passo dalle sognate dimissioni, sul ciglio del burrone, col caso Osvaldo (mica uno, due-tre volte) buono per tutti i casi, adesso come si fa ad accettare una cosa simile? Qui è in gioco l’allergia all’alterità, l’intolleranza alla differenza, la paura del diverso (...)
Serve per spiegare chi dice che Luis Enrique ha cambiato tutto, è diventato “uguale” non a se stesso ma alle critiche. Un modo c’è sempre per uscirne, lo stesso identico modo. Dopo la doppia vittoria con Parma e Atalanta era iniziato il coretto: «Luis Enrique ha cambiato gioco, non fa più possesso palla, ma verticalizza». La Roma poi ha perso e riperso e a quel punto la colpa era di Luis Enrique, evidentemente un vero e proprio coglione visto che dopo aver trovato la quadra s’era rimangiato tutto rifacendo di testa sua.
Però poi si vincono altre due partite con Novara e con il Lecce ed ecco il ritornello. Dopo quella con Lecce si parla addirittura di scudetto (?! ma come?!) perché Luis Enrique ormai ha capito i trucchi del calcio italiano. Certo altrettanti sottolineano la pochezza degli avversari. Hanno ragione questi ultimi – si dice così – evidentemente quando la Roma perde contro l’Udinese (fuori casa e a 8’ dalla fine) e a Firenze (giocando un’ora e un quarto in dieci e sotto 1-0). Il dramma è adesso. All’ennesima doppietta romanista stavolta tremano i polsi, stavolta l’hai fatta con Juve e Napoli, e allora i casi sono due: o Luis Enrique si è italianizzato o Luis Enrique si è italianizzato.
Perché è così: quando vince è perché ha tradito se stesso, quando perde perché è rimasto uguale a se stesso. Ma Luis Enrique non è così che lo capisci. Lui sorprende. Spiazza. Cambia sempre formazione. E’ il genere di se stesso. Bisogna spiazzarsi per farlo. Probabilmente Luis Enrique ha cambiato tanto da quando è in Italia. Ha cambiato 17 formazioni su 17, per esempio, non per il gusto di farlo piuttosto per trovarne una e lo ha fatto: prendete quella di Napoli e aggiungeteci Pjanic e Gago, quella sarà la Roma. La Roma titolare.
A quel punto cambierà poco, perché a quel punto quello sarà il vero cambiamento: non cambiare. Bisogna differire la differenza. Trasgredire la trasgressione. Carmelo Bene sarebbe stato contento di Luis Enrique. E’ un’altra via. Se sei tu che decidi di cambiare qualcosa non rinneghi ma semmai realizzi te stesso. Non c’è peggior compromesso di chi dice «io sono fatto così e basta».
Dire che si è “italianizzato “ è banalizzare tutto e sbagliare analisi tecnica. La Roma di Napoli è più che mai la sua Roma e, al di là del decalogo che uno può stilare, c’è una cosa più grande che lo racconta. Il suo sorriso a fine partita. Sembrava veramente un bambino come tante volte ha chiamato la sua Roma. Era la felicità di un giusto, di una bella persona. Era una gioia tutta sua per una Roma mai così sua. Questo si capisce alla lettura, senza filosofia. Ecco perché Luis non si sente italiano e per fortuna, senza nessun purtroppo, non lo è. È altro. È romanista
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