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Luis intoccabile, la squadra è tutta con lui

(Il Romanista – C.Zucchelli) – Tutti con Luis Enrique. Come in quell’abbraccio di fronte la panchina fatto prima di Roma-Cagliari (e al centro, guarda caso, c’era Francesco Totti). La società sta con l’allenatore: lo tutela, lo...

Redazione

(Il Romanista - C.Zucchelli) - Tutti con Luis Enrique. Come in quell’abbraccio di fronte la panchina fatto prima di Roma-Cagliari (e al centro, guarda caso, c’era Francesco Totti). La società sta con l’allenatore: lo tutela, lo difende, lo sostiene. Lo aiuta. Per crescere insieme.

La squadra anche sta con Luis e con tutto il suo staff, che giorno dopo giorno ha conquistato e conquista ancora i giocatori. Con il lavoro a Trigoria, con la cura dei dettagli, con - per usare le parole di De Rossi - la «lealtà e la correttezza». I calciatori, giovani e meno, vanno avanti insieme al tecnico. Stamattina si ritroveranno a Trigoria dopo essersi parlati già domenica pomeriggio negli spogliatoi: Luis Enrique ha ringraziato i giocatori e ha chiesto a tutti di restare uniti e continuare a lavorare così. Walter Sabatini ha fatto lo stesso. La squadra ha ascoltato in silenzio, ha capito e ha apprezzato. Nessuno ha lasciato lo spogliatoio prima di aver ascoltato le parole di tecnico e società. La squadra è col suo allenatore. Punto. Senza nascondere i problemi. A Trigoria nessuno vuole farlo. Ieri al centro tecnico non c’erano né i giocatori né Luis Enrique, che si è dedicato alla famiglia accompagnando i figli al primo giorno di scuola. L’appuntamento è per stamattina alle 10.30 quando si inizierà a preparare la trasferta di Milano control’Inter. Una partita delicatissima e non c’è neanche bisogno di spiegare perché. La società sostiene e sosterrà il tecnico: Sabatini e Fenucci ci hanno parlato subito dopo la partita, Baldini si è sentito con lui al telefono e tutti gli hanno ribadito che deve continuare a lavorare come sta facendo.

La Roma ha - deve avere - pazienza. Senza prendere in giro nessuno: i risultati contano, se le cose dovessero precipitare (ma è un’ipotesi che al momento nessuno prende in considerazione) si faranno le opportune valutazioni, ma adesso non ci sono dubbi sul fatto che Luis Enrique è e resterà l’allenatore della Roma. Sarebbe un delitto pensare il contrario: a Trigoria negli ultimi mesi è cambiato tutto, altri cambiamenti sono ancora in divenire, ci vuole tempo per ammortizzare. In campo, che poi è la cosa più importante, sta succedendo lo stesso. La squadra che ha affrontato il Cagliari non aveva mai giocato insieme, c’erano giocatori, come Pjanic, arrivati da tre giorni e altri, come Osvaldo, che non avevano mai indossato la maglia della Roma. La Roma è un ottimo gruppo, ci sono le basi per «qualcosa di bello», come filtra dalla società, ma serve al più presto diventare una squadra. C’è un solo e rapido modo per farlo: vincere. «Ci servirebbe una vittoria, anche giocando male, per sbloccarci», vanno ripetendo i giocatori in coro, più o meno ufficialmente. Qualcuno ha perplessità di tipo tattico, ci sono delle situazioni da risolvere e Luis Enrique, sul campo, è pronto a farlo: c’è Totti, ad esempio, 207 gol in serie A che fa il rifinitore e gioca tanto (troppo) lontano dalla porta; c’è Bojan, schierato sempre da Luis Enrique, che sembra ancora spaesato e che contro il Cagliari è stato il peggiore; c’è la fascia sinistra, dove José Angel - che pure deve migliorare in fase difensiva - non ha un’alternativa; c’è Stekelenburg, che ancora non sà quella sicurezza che ci si aspetta da un portiere vice campione del mondo; c’è un modulo difficile da assimilare e scarsa lucidità sotto porta.

Tutto vero, tutto alla luce del sole, tutti argomenti che a Trigoria verranno affrontati. Ma ci sono anche delle cose a cui aggrapparsi, cose che fanno pensare che per la luce in fondo al tunnel sia davvero questione di poco: c’è Totti - anche qui - che coi piedi santi che ha mette in porta i compagni con la solita enorme facilità; c’è De Rossi, che sembra tornato quello del primo Spalletti, giocatore straordinario e grande leader; ci sono Pjanic, lo stesso José Angel, Borriello, il giovane Borini e tanti altri che sono pronti a trascinare la squadra; c’è un ds che quella stessa squadra non la abbandona mai e che, se davvero le cose dovessero andare male, sarebbe il primo ad assumersene le responsabilità; c’è una struttura forte, un presidente che aspetta solo l’incarico ufficiale per trasferirsi a Roma e che, anche dagli States, non fa mancare appoggio e sostegno. Tutti elementi che adesso, quando si è a 0 punti in classifica e fuori dall’Europa, sembrano secondari. Ma che, invece, danno il senso di quello che potrà - e dovrà - essere. Tra le cose che ci sono (e ci saranno sempre, è persino superfluo dirlo) ci sono i tifosi della Roma. Quelli che, come striscione a Verona insegna, non perdono mai. Anche loro stanno con la squadra e con l’allenatore. Ci stavano prima e dopo lo Slovan, visto che domenica hanno riempito di nuovo l’Olimpico, ci stavano anche ieri quando la delusione per la sconfitta contro il Cagliari era comunque forte. I tifosi, maturi e innamorati, hanno applaudito la squadra perché quello era giusto - bello - fare. È da quell’applauso che bisogna ripartire. Quell’applauso così spontaneo e convinto che ha conquistato Luis Enrique e il suo staff: l’allenatore al fischio finale era stravolto, l’appoggio di giocatori e società gli ha ridato un po’ di serenità, ma se c’è qualcosa che lo ha lasciato a bocca aperta è stata la dimostrazione d’amore della gente. Senza scadere nella retorica - e lui non è proprio il tipo - il suo pensiero va ai tifosi. Ha ricevuto tanto, vuole ricambiare. E sa che c’è solo un modo per farlo: vincere. Vincere e basta.