rassegna stampa roma

Lucho, perché stupire?

(Corriere dello Sport – A.Ghiacci – E.Maida) – La sconfitta di Udine ha aperto il dibattito. Perché le domande a cui è difficile dare una risposta, cominciano a spuntare nella testa dei tifosi romanisti.

Redazione

(Corriere dello Sport - A.Ghiacci - E.Maida) - La sconfitta di Udine ha aperto il dibattito. Perché le domande a cui è difficile dare una risposta, cominciano a spuntare nella testa dei tifosi romanisti.

E’ il cammino stesso della squadra a creare interrogativi: la Roma fatica a trovare continuità, Luis Enrique insiste con il cambiare, la pazienza mostrata all’inizio dal pubblico giallorosso, e lodata a più riprese dai dirigenti, comincia ad esaurirsi. La squadra messa su per il nuovo corso è giovane, ma certamente non così debole da perdere 6 delle prime 14 partite stagionali. E quel che lascia ancor più perplessi è che (a volte) le sconfitte sono sembrate nascere da problemi interni più che dalla forza dell’avversario incontrato. Sensazione confermata dal ko subito sul campo dell’Udinese. E allora proviamo a porre cinque domande a Luis Enrique, giovane tecnico spagnolo scelto per il progetto targato DiBenedetto-Unicredit. E, infine, se proprio non si pensa che ad attaccare, perché a Udine si è cambiato chiedendo agli esterni di non spingere più di tanto? Cinque perché, per capire un po’ di più della Roma di Luis Enrique.

Nella partita vinta per 2-1 contro il Lecce, la Roma ha mostrato una delle sue migliori facce di questa prima parte di stagione. Nella sfida seguente, quella di Udine, Luis Enrique avrebbe dovuto cambiare soltanto una pedina: Rosi infortunato imponeva un’alternativa per la fascia destra. I cambi scelti dal tecnico, tra una sfida e l’altra, hanno riguardato invece cinque pedine: i due esterni, un centrale difensivo, un centrocampista e di conseguenza, visto che Pjanic è stato spostato più avanti, il trequartista. Cancellato il centrocampo di qualità (De Rossi-Gago-Pjanic) che aveva impressionato una settimana prima. E allora la domanda, come si diceva un tempo, nasce spontanea: perché tutti questi cambi? Non sarebbe stato meglio, per una volta, confermare dieci undicesimi e cambiare solo l’esterno destro che era indisponibile (Rosi)? La maggioranza del pubblico romanista, non avendo risposte in tal senso, in queste ore si sta interrogando.

Nella partita di Udine, al minuto 29 del secondo tempo, la Roma si trovava sullo 0-0. Fino a quel momento le emozioni non erano state tante, né da una parte né dall’altra. A parte il ritardo del primo cambio scelto da Luis Enrique, l’interrogativo è un altro: perché togliere Gago che fino ad allora era stato uno dei migliori? La scelta di inserire un attaccante (Bojan), già adottata a Novara, ci poteva anche stare, ma allora sarebbe stato meglio sostituire Greco, che non aveva brillato. O forse non cambiare per forza, provare a tenere il pallino del gioco (come in realtà stava accadendo) e vedere ciò che sarebbe successo. Perché la sensazione era chiara e netta: se una squadra poteva segnare, quella era la Roma. Altrimenti pazienza: esiste anche il pareggio. Perché anche lo 0-0 dà un punto in classifica. Non tanto, ma sicuramente meglio di niente. Tanto più a Udine dove finora hanno perso tutti.

Nessuno sa mai nulla. Non è protezione della privacy tecnica, è verità. Luis Enrique annuncia la formazione alla squadra un’ora, massimo un’ora e mezza prima delle partite, e né i dirigenti, né i giocatori la conoscono o la intuiscono in anticipo. Certo, De Rossi e Stekelenburg immaginano di essere titolari. Più o meno anche Osvaldo e Pjanic. Ma per tutti gli altri non esistono certezze fino al momento in cui l’allenatore elenca i nomi dei titolari. E questa è una scelta che disorienta la squadra, oltre ai giornalisti alle prese con il TotoLuisito. Addirittura alcuni calciatori, che si divertono con il fantacalcio durante il ritiro, sbagliano spesso la scelta del giocatore della Roma da schierare perché poi Luis Enrique lo manda in panchina.

Alla vigilia di Inter-Roma, seconda partita di campionato, Luis Enrique aveva annunciato solennemente: «Giocheremo sempre con tre attaccanti». Giovedì, prima di partire per Udine, aveva assicurato: «Attaccheremo per novanta minuti». Non è andata proprio così. Allo stadio Friuli la Roma ha giocato con una punta vera, Osvaldo, che tra l’altro ha giocato defilato, un trequartista come Lamela in posizione avanzata, e un centrocampista, Pjanic. E’ quasi un’abiura, già vista in altre circostanze: contro Lazio, Milan e Novara. Perché? Solo perché non c’è un sostituto di Totti? Luis Enrique risponderebbe che contano il sistema di gioco e l’interpretazione del sistema stesso. Ma l’interpretazione dipende anche dalle caratteristiche degli attori. O no?

Due gol incassati per altrettanti fuorigioco saltati. La Roma ha perso a Udine una partita in stile zemaniano, più che barcelonista. L’idea di una linea difensiva molto alta, a volte sulla riga di metà campo per accorciare la squadra, è affascinante e redditizia se i meccanismi difensivi funzionano. Ma in un periodo di fragilità generalizzata può diventare un regalo all’avversario. Basta un errore e addio. Ieri Di Natale e Isla si sono divertiti ma in parte ne aveva approfittato anche Meggiorini, che a Novara ha tirato contro Stekelenburg la palla del possibile 1-0. Paradossalmente, a Udine la Roma giocava con i centrali alti e gli esterni bassi, che finivano per tenere in corsa gli attaccanti avversari. Non sarebbe il caso di arretrare di una decina di metri per limitare i guai?