rassegna stampa roma

«Roma, non siamo una squadra»

(Corriere dello Sport – R.Maida) – La beffa suprema è che negli stessi minuti Montella batte il Napoli e vola tre punti più su. Proprio alla vigilia di Roma-Milan, Luis Enrique si era irrigidito davanti al sarcasmo di chi lo ha...

Redazione

(Corriere dello Sport - R.Maida) - La beffa suprema è che negli stessi minuti Montella batte il Napoli e vola tre punti più su. Proprio alla vigilia di Roma-Milan, Luis Enrique si era irrigidito davanti al sarcasmo di chi lo ha preceduto ( «Fossi stato io a Trigoria, con certi risultati sarei andato a casa...» ) e all’avallo concettuale di Baldini.

Ora invece deve specchiarsi nella classifica che dice di non guardare. Perché tre sconfitte nelle ultime quattro partite hanno spinto la Roma nel frullatore, vicino alla zona rossa, dove diventa un po’ complicato pazientare e pensare alle utopie.

 

MANI ALZATE - Ancora debilitato dall’influenza, Luis Enrique ha un’aria stanca e provata negli spogliatoi. L’analisi è severa nella sua onestà. «C’è tanta, troppa differenza tra noi e il Milan - ammette - Si è notato soprattutto nel primo tempo. Siamo andati meglio dopo l’intervallo, ma non ho mai visto la possibilità di vincere questa partita. Non pensavo che fossimo così lontani. Abbiamo fatto tanti tiri in porta, più di loro, ma non c’è stata la reattività che serve contro certi avversari. Se non sei pronto e veloce a capire cosa succede, se non sei sufficientemente cattivo, prendi gol. E così è stato» .

I CALCI PIAZZATI - Non riesce a spiegarsi la disattenzione che ha regalato il 2-1 a Nesta, che ha colpito di testa su calcio d’angolo senza che nessuno gli desse fastidio. Prende il bavero dell’interprete alla sua destra per rafforzare il suo pensiero: «C’è una differenza bestiale tra il gol di Burdisso e quello di Nesta. Burdisso ha Zambrotta che gli morde il collo, Nesta arriva da casa sua e segna come in una partita amichevole. Nella nostra area dobbiamo essere più attenti. Eppure ne avevamo parlato. In Italia sono i piccoli dettagli che decidono le partite. Dobbiamo migliorare tutti, io per primo» . E qui si offre come parafulmine: «Io sono il massimo responsabile e devo far capire ai calciatori quello che voglio. Oggi e per sempre, è colpa mia. Chissà, magari ho sbagliato formazione. Mancano tantissime cose, in tutte le fasi del gioco. Difensiva e offensiva. Il possesso palla serve ad essere pericolosi ma non riusciamo a farlo. Non siamo ancora una grande squadra. Anzi, non siamo una squadra. Così non è possibile vincere con nessuno, tantomeno con i campioni d’Italia» . Manca anche la personalità nelle occasioni decisive: «Il carattere non è una cosa che si compra al mercato. Ma l’età dei calciatori e l’esperienza non c’entrano. Le distrazioni sono arrivate anche da calciatori con molte partite alle spalle» . Riferimento a Juan e Cassetti, che non sono stati aggressivi sui primi due gol.

PROSPETTIVE - Luis Enrique ha schierato l’undicesima Roma in altrettante partite. E continua a difendere la politica dell’alternanza: «Nel giorno in cui mi ha assunto, la società conosceva il mio modo di ragionare. Per me non si vince in undici o in quindici, ma con tutta la rosa» . Sì, ma quando si potrà vincere? Luis Enrique non ha ancora inquadrato il tempo di gestazione della squadra: «Spero di trovare le soluzioni ai nostri problemi entro la prossima settimana. Ma non posso dire di più, posso solo promettere tanto lavoro» . Il fatto positivo è che lo stadio ha apprezzato gli sforzi: nel secondo tempo ha incitato i giocatori con un frastuono incessante (anche troppo: perché tutti quei petardi?) e alla fine, un’altra volta dopo il ko con il Cagliari, ha più applaudito che fischiato: «Il tifo è incredibile, passionale, fedele, non mi sorprende. Ci aiuta sempre tantissimo. Noi dovremo impegnarci ancora di più e meglio per ricambiare il pubblico» .