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«Roma mia, non gioco solo per partecipare»

(Il Romanista-V.Meta) Il ragazzo è di quelli che se abbassano gli occhi, non è per sottomissione ma per quel pizzico di timidezza che li coglie quando su di loro si accendono riflettori che non sono quelli dello stadio.

Redazione

(Il Romanista-V.Meta) Il ragazzo è di quelli che se abbassano gli occhi, non è per sottomissione ma per quel pizzico di timidezza che li coglie quando su di loro si accendono riflettori che non sono quelli dello stadio.

Andrea Bertolacci è uno abituato a guardare la vita in faccia: gliel’hanno insegnato il nonno Angelo e il papà Fabio, il primo campione italiano di ciclismo ai tempi di Coppi e Bartali, il secondo campione del mondo di motonautica. Due giorni fa la Roma l’ha riscattato dal Lecce, dov’era in prestito dal gennaio 2010, ma Sabatini l’aveva aggregato al ritiro della prima squadra senza aspettare che l’operazione fosse ufficiale. Sette anni di settore giovanile nella Roma, nove presenze e tre gol in serie a con la maglia giallorossa, ma quella dei salentini, due dei quali nella porta dell’Udinese inviolata da tre mesi. Non male per uno che ha compiuto vent’anni a gennaio. Jeans, sneakers, cardigan verde, Andrea parla di sé con l’eleganza del riccio, seduto al tavolino di un ristorante a Trigoria dov’è insieme ospite e padrone di casa dell’inaugurazione della mostra fotografica dedicata al mare organizzata dal padre.

Si dice che con le barche hai avuto una brutta esperienza. La mia prima volta su una barca da corsa è stata quando avrò avuto sette o otto anni. Ero molto appassionato di papà, lo seguivo sempre in tutte le gare che faceva, così un giorno gli ho chiesto se mi faceva fare un giro, o forse me l’ha porposto lui, non mi ricordo con precisione. Comunque, lui stava facendo le prove sul Tevere, così sono andato con lui. Non l’avessi mai fatto. Sono salito sulle sue gambe e lui aveva me da una parte e dall’altra parte le manette che servono per aumentare e diminuire la velocità. C’ho ancora negli occhi la scena: lui che con una mano teneva me e con l’altra accelerava sempre di più e io vedevo ’sta barca che andava sempre più veloce. A quel punto ho avuto un trauma, si vedeva perché tremavo tutto, ho detto "papà papà, c’ho paura", allora lui si è fermato, io sono sceso e da lì in poi non ci sono più salito. Anche perché poi ho iniziato a fare calcio e nei fine settimana avevo da fare. Papà diceva di essersi dimenticato che eri lì. Sì, si era dimenticato di me, tanto era concentrato nella guida. Io ancora me lo rivedo, stava spalancando tutto... anche adesso, ogni volta che finisce una gara voglio sapere subito com’è andata. Anzi c’era un periodo, quando giocavo con gli Allievi e giocavamo di domenica mattina e papà gareggiava verso le nove, che quando entravo in campo guardavo mamma in tribuna e lei mi faceva un cenno per dirmi che papà era tutto ok. Qualche volta è anche capitato che glielo chiedessi direttamente andando a bordo campo.

Come ti ha seguito in questi anni? Lui ha seguito in tutto e per tutto la mia crescita a livello calcistico, era sempre pronto ad ascoltarmi, però il suo lavoro lo portava sempre fuori e difficilmente riusciva a venirmi a vedere alle partite. Però io l’ho sentito sempre vicino, dopo ogni partita mi chiama per sapere com’è andata. E poi sapevo che comunque non è che si andasse a divertire: stava facendo una cosa abbastanza pericolosa e che per lui era lavoro e non un divertimento. Lo pagheranno pure, ma è pericoloso: io me la sono fatta sotto, lui no ma non esagero se dico che rischia la vita. Una volta la sua barca si è capovolta e ci sono delle immagini in cui si vede l’acqua che entra e fa un’impressione...

E invece nonno? Nonno è più tipo da "Andrea, mi raccomando i valori, rispetta sempre i compagni, da’ la mano agli avversari, rimani sempre umile"... Ecco, nonno è questo. Non l’ho visto tanto ultimamente, visto che ho passato l’utlimo anno e mezzo a Lecce, però appena posso gli sto vicino. Siamo molto legati.

Stare in una famiglia di campioni aiuta o è una responsabilità? Da una parte mi ha aiutato perché mi hanno insegnato i valori più importanti, soprattutto il sacrificio perché senza quello non raggiungi gli obiettivi. Questo me l’ha insegnato specialmente nonno, visto che il ciclismo è sacrififio. Credo che io non lo potrei mai fare... al massimo una corsetta in bici, ma non come faceva lui, sempre lavoro lavoro lavoro. Averli vicino è stato importante e cerco di vivere sulla scia di nonno e papà. C’è da dire che io faccio uno sport in cui il sacrificio è sicuramente inferiore rispetto al loro, specie nonno. Nel calcio i sacrifici sono relativi ma riscuote più successo, pagine e pagine sui giornali, loro magari lavorano ore e ore e al massimo ottengono un trafiletto.

Il tuo rapporto con la fama? Sono "esploso" dopo la doppietta all’Udinese. Spesso mi chiedono quale gol preferisca fra quello alla Juve e i due all’Udinese. Certo il primo è stata una grande emozione, anche perché era contro la Juve, ma leggere sul tabellone "Bertolacci Bertolacci"... ancora ce l’ho impresso negli occhi, poi in casa nostra al Via del Mare, contro l’Udinese di Sanchez e Di Natale, lanciatissima, che lottava per lo scudetto e non prendeva gol da tre mesi è stato veramente emozionante. Dopo il gol alla Juve, la prima chiamata l’ho fatta a Lucci dal bagno dello spogliatoio per dedicargli il gol e lui era commosso, ma d’altra parte il nostro rapporto va al di fuori dei confini lavorativi.Se papà c’è rimasto male? Ma no, lui lo sa che il gol alla Lazio in Primavera era per lui, quelli all’Udinese li ho dedicati a nonno...manca solo mamma, ma il nome suo e di papà ce l’ho sui parastinchi. Qualcosa mi inventerò pure per lei.

Si può dire che questa sia stata la tua prima estate di vacanza dopo due anni? Di vacanza? Magari... se non mi fossi fatto male, mi sarei fatto almeno quindici giorni a Lecce, pure se stavo da solo al mare, perché lì si sta troppo bene. Forse d’inverno soffri un po’ perché la città è piccola e non c’è tantissimo da fare, ma Lecce è bellissima e poi posso dire una cosa? Roma non mi piace più come prima, ultimamente è peggiorata anche dal punto di vista della gente, mentre giù la mentalità è più carina e per il fatto che sei del Lecce ti coccolano tutti. Prima che andassi via, la gente mi fermava per strada per dirmi "devi rimanere assolutamente" e quand’è così, che gli dici? Vediamo, fosse per me...

Fosse per te...? Fosse per me, andare in ritiro con la Roma sarebbe sicuramente una bella opportunità. Una volta lì mi gioco le mie carte e vediamo, se c’è poco spazio prenderemo delle decisioni. Non sono il tipo che gareggia per partecipare, dovunque dovessi giocare l’anno prossimo - e alla Roma sarebbe bello -, l’obiettivo è crescere e migliorare quanto fatto fino qui. Altrimenti non ha senso.

Luis Enrique dovrebbe far giocare la Roma con il 4-3-3: tu in quale ruolo ti vedi? Nel centrocampo a tre, credo che il mio ruolo ideale sarebbe l’intermedio di sinistra: lì potrei esprimermi al meglio, sia in fase di interdizione sia quando c’è da impostare e da inserirsi. Quest’anno ho giocato anche trequartista e i tre gol dicono che ho il tempo per gli inserimenti.

A proposito, ti senti più da Inghilterra o da Spagna? Sai, a me piace sia fare la guerra sia giocare a pallone... forse la serie A è il giusto compromesso.

Ti aspettavi una stagione come quella passata per la Roma? Da tifoso speravo riuscisse a lottare fino alla fine per scudetto e Champions, ma credo che stagioni così ci possano stare, hanno cambiato allenatore e Roma è una piazza esigente. Mi è dispiaciuto molto, ma capita. Io non è che fossi propriamente un tipo da stadio, la Roma la seguivo in tv con papà, che è sempre stato romanista. Da piccolo veramente impazzivo per Roberto Baggio, mamma se lo ricorda, avrò avuto cinque o sei anni.

Del passaggio di Stramaccioni all’Inter che ne pensi? Mi dispiace che la Roma lo abbia perso perché è un allenatore molto preparato, ma sono anche contento per lui. Per la sua carriera è un passo in avanti.

C’è un allenatore che è stato decisivo per te? Ce ne sono due: sicuramente Stramaccioni e poi Fabio Petruzzi. Molto del giocatore che sono, lo devo a Stramaccioni, ma anche Petruzzi, che mi ha allenato negli Allievi sotto età, mi ha fatto crescere molto. Scudieri? È stata dura: ai tempi dei Giovanissimi volevo lasciare la Roma, lasciare il calcio e tornarmene a giocare sotto a casa. Vedevo gli altri giocare, mi chiedevo se fossero proprio tutti più bravi di me, ma se adesso ho tanta fame ogni volta che scendo in campo è per tutto quello che mi ha fatto mandare giù lui. Lo dico adesso che le cose sono andate bene, ma credo mi sia servito tantissimo.

Ma tu ti diverti ancora quando giochi? Eh, ti diverti quando fai due gol... prima entri in campo concentrato al massimo, sapendo che devi portare a casa i tre punti, ti devi salvare. Quando senti che stai giocando bene, ti diverti, ma a questi livelli pensi anche a molto altro: tuttt si aspettano che la squadra giochi bene e vinca, la pressione c’è. Il divertimento arriva dopo. Sotto casa in compenso te diverti sempre...io però non posso più giocare a calcetto, perché una volta ho rimediato una botta e ho preso il cortisone, in Under 17 se ne sono accorti e mi hanno rimandato a casa. La Roma? Ero in ritiro sotto età con la Primavera, mi sono presentato con un occhio nero... ho provato a dire che avevo sbattuto al comodino, ma mi sa che non era molto credibile.

Quanto ci mette il calcio a dimenticare? Pochissimo, basta un mese e nessuno si ricorda più di te. Io invece sono uno che non dimentica.

Della vicenda calcioscommesse che idea ti sei fatto? Penso sia molto difficile provare che il risultato di una partita sia stato deciso a tavolino. Si è detto: in Inter-Lecce i quattro difensori del Lecce erano tutti d’accordo. Ma come? E se la partita è finita 1-0? Se ho mai pensato che ci fosse qualcosa di strano in una partita? Finora mai.

Se non avessi fatto il calciatore, che avresti fatto? Ne parlavo l’altro giorno con mamma. Io lo so che c’è gente che lavora dalle nove alle nove di sera, adesso io parlo così perché faccio il giocatore però lo so che se avessi dovuto lavorare sarebbe stata tosta. I miei genitori non mi avrebbero permesso di perdere tempo. Lo so che la vita vera non è questa, la vita è un’altra e adesso ti dico che non lo so cosa avrei fatto: forse avrei lavorato con papà, ma sarebbe stata dura perché se lui è arrivato dov’è, è perché ha lavorato duro e preteso tantissimo da quelli che lavorano con lui. È sempre concentrato a duemila e io non avrei potuto essere da meno. Magari avrei fatto l’università.

In Europa i ragazzi della tua età scendono in piazza per chiedere un futuro. Quando sento parlare dei precari e dei ragazzi che non lavorano, so perfettamente di essere fortunato. Calciatori si nasce: puoi migliorare in qualche aspetto, ma con le qualità ci si nasce. E la testa è tutto, perché il nostro è un mondo in cui basta un attimo per perderti.

Con la politica come ti rapporti? A essere sinceri, non ci capisco granché. Per il momento ascolto quello che dicono mamma e papà quando c’è da andare a votare. I referendum? No, non ho votato perché stavo a Lecce.