(Il Messaggero - U.Trani) - Non offende, però: «È una battuta». Anche se poi definisce l’allenatore biancoceleste «un portafortuna». «Avevo deciso di parlare e ho mantenuto l’impegno anche se purtroppo non sarò in campo: spero di recuperare per il Palermo, vedremo giorno per giorno».
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«Reja uomo derby»
(Il Messaggero – U.Trani) – Non offende, però: «È una battuta». Anche se poi definisce l’allenatore biancoceleste «un portafortuna». «Avevo deciso di parlare e ho mantenuto l’impegno anche se purtroppo non sarò in campo:...
Nella divertente e abbondante conferenza stampa ha tutta un’estate da raccontare. Lui spettatore, pure del passaggio di proprietà, e bersaglio. Baldini, il dg che si presenterà a Trigoria la prossima settimana, lo ha definito pigro. Sabatini, il ds che recita frasi a effetto a volte devastanti, lo ha indicato come il problema della Roma. Luis Enrique, il tecnico scelto per la ricostruzione, lo ha messo in panchina nella prima gara ufficiale. Di Benedetto, il nuovo presidente, ha preso tempo prima di incontrarlo. C’è da chiarire tutto. «Per il bene della Roma: quello che mi interessa». Ieri, oggi e domani. In serenità.
Primi sassolini da togliersi: per l’attacco di Baldini. «Quando ho letto la sua intervista, c’ero rimasto male. Ognuno è libero di esprimere il proprio pensiero. Con Franco ho avuto sempre un bellissimo rapporto, anche quando è andato via. Arriverà e spiegherà questa pigrizia. Ma io ho già accantonato per il bene di tutti. Lui è tra i più bravi manager al mondo, speriamo di rivincere ancora insieme. Dopo le sue frasi, la mia conferenza in ritiro saltò. Preferivo lavorare e basta. Pensavo a giocare e a rispondere solo con i fatti».
Ancora sassolini: adesso fanno rima con Sabatini. «Spero di non essere mai un problema per la Roma: ho sempre dato un qualcosina in più per questa squadra e questa città. Certe parole, all’inizio, mi hanno dato fastidio. Mi hanno ferito. Quest’anno ne ho sentite tante. Che ero al centro del progetto. E che poi, invece, ero il problema di tutto, il male, della squadra e della società alla quale creavo un danno economico. Che remavo contro, che non volevo gli americani, ma solo la Sensi. Che dovevo smetterla con gli interessi personali. Ormai sono abituato, non me la prendo più di tanto. Stavo zitto, ma conoscendo il mio carattere poi sbotto. Così ho avuto un chiarimento con il direttore, ho chiesto quale fosse la verità sul mio conto, se veramente facessi parte del progetto. Me lo ha confermato e fortunatamente sono cambiate tante cose».
Il faccia a faccia con Luis Enrique. «Stavo bene fisicamente e cercavo di dare il massimo. Poi è normale che il mister faccia le sue scelte, rispettabilissime. Ma non ci siamo intesi subito. Nella prima partita non ho giocato, nella seconda sono stato sostituito: qualcosa non mi quadrava. Mi sono chiesto: o non ho capito io o mi stanno prendendo in giro. Allora ho chiesto spiegazioni, le ho ottenute e la situazione è subito migliorata. Con lui ho un rapporto molto molto buono. Somiglia a Spalletti e a Zeman. Il suo calcio è abbastanza offensivo: pensa più a far giocare la squadra e meno agli avversari, per fare un gol in più degli altri. La sorpresa sono le due ore e mezza di allenamento: troppe, era dai tempi di Zeman che non ci allenavamo così intensamente, ma fanno bene».
L’éra DiBenedetto. «E’ un progetto nuovo, importante, giovane. Gli americani vogliono fare grandi cose. E una grande squadra, doveroso per una città come Roma. Noi li aiuteremo in tutti i modi. Prima che arrivassero ho detto che non avevo visto nessuno, poi ho conosciuto persone vere. Con il presidente ho avuto una breve chiacchierata, solo che lui ha parlato italiano e io inglese. Ma mi sa che non ci siamo capiti... E’ un progetto da qui a cinque anni o di più. Ci vorrà tempo prima di vincere, è una squadra ringiovanita ed in Italia serve tempo. Con lo spirito giovanile che abbiamo, io ormai sono parte...del gruppo, possiamo dire la nostra mantenendo questa base. Ma si può vincere anche prima. Tra cinque anni io non ho più il contratto quindi o me lo rinnovano o dobbiamo vincere prima. Mi volevano negli States e in Europa. Ma io, se non mi danno un calcio nel sedere, resto. Sono qui da vent’anni, che faccio, me ne vado?».
Il ruolo in campo. «Mi trovo bene anche se non segno. Per il bene della squadra faccio tutto e mi diverto. Ho parlato con il mister: vuole che batta tutti i record. E che giochi pure più vicino alla porta: mi abituerò a fare un po’ il trequartista e un po’ l’attaccante. Spetta a me trovare la posizione per aiutare centrocampo e attacco. Poi suona strano che uno come me, abituato fare tanti gol, non segni nelle prime cinque partite».
Lo stress di Ibra e Cassano. «Sarà l’aria del Nord. Io, invece, voglio giocare fino a quarant’anni. Se sto bene fisicamente e mentalmente, voglio divertirmi. Il calcio è la mia passione. Provo a dare sempre tutto. Quando che non ce la farò più, getterò la spugna».
Dal campo in ufficio. «Anche questo è nel contratto: cinque anni da dirigente. Bisogna vedere dove mi mettono: alla guardiola o da qualche altra parte. Non ne ho parlato: voglio ancora giocare».
La vecchia proprietà. «Sono cresciuto qui: con Conti, Pradè e Rosella è stato un rapporto vero che è andato oltre il campo. E che mi ha dato tanto, tutta la trafila che ho fatto con la Roma è stata con loro. Ci sono state gioie e dolori: prendo tutto e li ringrazio. Sono persone che difficilmente dimenticherò. I nuovi sono persone serie ma con le quali non avrò mai il rapporto che avevo con gli altri».
Il derby. «Per me è speciale. Ma vincere la quinta o la sesta volta non ci cambia nulla. Da lunedì capiranno tutti i nuovi, girando per strada, che cosa vuol dire. Il più bello è l’ultimo, con la prima doppietta: da sogno, il massimo. Vorrei sedermi in borghese in panchina, ma dopo le polemiche quando andai in campo da infortunato la sera delle undici vittorie di fila, lo vedrò da casa: è Lazio-Roma, mi dovessero menare. Da dieci anni facciamo un urlo liberatorio, ora davanti alla panchina e in cerchio, per la Roma, semplice e un po’ banale. chi mi sostituirà? Pjanic è formidabile tecnicamente, Lamela spero che diventi il mio erede. Ai nostri tifosi non devo dire niente. Per tanti viene prima la Roma che la mamma. Klose potrebbe essere l’uomo decisivo: spero che non ci sia perché non pensavo che fosse così forte. Sull’aquila Olimpia meglio che non dico quello che penso sennò m’arrestano e poi non credo volerà. Andasse al mare, con i gabbiani». Il rinnovo di De Rossi. «Ho parlato spesso con lui. Vuole restare a vita, come ho fatto io. Spero che firmi presto possibile, questa cosa è andata avanti oltre il dovuto».
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