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«Cacciamo dagli stadi l’apologia di genocidio»

(Il Romanista-D.Galli) Il 16 ottobre di 68 anni fa, Rubino Della Rocca non era più un ragazzo come noi. Un romano romanista. Un romano romanista

Redazione

(Il Romanista-D.Galli) Il 16 ottobre di 68 anni fa, Rubino Della Rocca non era più un ragazzo come noi. Un romano romanista. Un romano romanista

(ebreo, ma che importa?) che da Campo Testaccio attraversava Roma, schivando le carrozze a cavallo, per andare a vedere a Galleria Colonna - venivano appesi lì i risultati della Serie A - cosa avesse fatto la Lazio. Il 16 ottobre di 68 anni fa, Rubino non poteva più sfottersi il lunedì fuori dalla Sinagoga con uno dei tanti David. Gli amici laziali (ebrei, ma che importa?). Rubino e David erano già altro. Erano molto meno. Erano diventati un romano romanista ebreo e un romano laziale ebreo. La parentesi - quel ma che importa? - era sparita come la pietà. L’ebreo non era più ebreo. Era giudeo. Era un insulto. Cinque anni prima, le leggi razziali ne avevano spazzato via la dignità, espellendoli dalle cariche pubbliche, cacciandoli dai luoghi di insegnamento, dalla società che si autoproclamava civile, equiparati ai cani nei negozi ariani mentre i fumi di Auschwitz-Birkenau impregnavano la neve della gioventù hitleriana. Cinque anni dopo, è il 16 ottobre 1943. È il giorno della Judenoperation. L’operazione- Giudei. La soluzione finale. I tedeschi si presentano al Ghetto, caricano sui furgoni 1024 ebrei romani - donne con i figli al seno, anziani, infermi, bambini: i nazisti se ne fottono - e a Stazione Tiburtina li ammucchiano sui carri bestiame. Arriveranno ad Auschwitz quattro giorni dopo. Torneranno in 16. Esattamente sessantotto anni dopo, il 16 ottobre 2011, durante un derby una minoranza della tifoseria laziale canta “romanista ebreo”. Viene esposto uno stendardo in caratteri runici, “Klose mit uns”, che richiama il ben più celebre “Gott mit uns”, “Dio è con noi”. Chi lo mostra è evidentemente convinto che si tratti di uno slogan delle SS. Invece no, “Gott mit uns” compariva sulle fibbie dei cinturoni della Wehrmacht. L’esercito regolare tedesco, non le SS, anche se con le SS collaborava. Se però il motto non è tout court un’icona nazista per la Storia, lo è per la testa di qualche idiota. Idiota romanista o idiota laziale, all’Assessore alla Comunicazione della Comunità Ebraica di Roma cambia poco. Anzi, nulla. Si chiama Ruben. Rubino Della Rocca era suo nonno. Fu deportato ad Auschwitz-Birkenau, non lo ha mai conosciuto: «Avrei voluto chiedergli la tessera di Campo Testaccio. Era abbonato». Era abbonato, era romano, era romanista. Ebreo. Ma che importa?

 

La vera eredità è stata però la Roma, giusto Della Rocca? La prima volta che sono stato allo stadio avevo tre anni. Roma-Milan 0-1, gol di Chiarugi da calcio d’angolo. Me la ricorderò per sempre, perché raramente si prende un gol da calcio d’angolo.

Mica tanto raramente. Roma-Catanzaro, Palanca... Certo. C’ero. Ovviamente.

Sfatiamo però un luogo comune. Non è vero che tutti gli ebrei romani sono romanisti. Assolutamente no e ci tengo a chiarirlo. La nostra è una comunità variegata. E’ garantito sia il pluralismo delle idee, sia quello della fede sportiva. La maggioranza tifa Roma, probabilmente per l’estrazione popolare della società e la vicinanza del vecchio Ghetto a Testaccio, dove abitavano tanti romani di religione ebraica. La Lazio ha avuto un tifo differente, ma nella nostra comunità c’è una buona percentuale di laziali. E qui mi rifaccio alle dichiarazioni rilasciate dopo il derby del 16 ottobre (la Comunità ebraica è insorta, ndr). Sono loro, i tifosi ebrei della Lazio, che ci hanno chiamato sollecitando un intervento. Vanno allo stadio, ascoltano certi cori. Se non ci siamo fatti sentire immediatamente, nonostante le segnalazioni, è perché speravamo in cuor nostro che scemassero con il tempo. Ci stiamo invece accorgendo che alcuni di questi, in particolare “giallorosso ebreo”, si stanno perpetuando in Curva Nord. Sembrano diventati una moda. Questo ci amareggia. Comunque, qualcosa si sta muovendo. Oggi (lunedì, ndr) si è fatta viva la Federcalcio. Mi ha chiamato Antonello Valentini (il direttore generale della Figc, ndr) avvisandomi che la Lazio era stata multata di settemila euro per cori razzisti reiterati durante l’incontro con il Catania. Questo dimostra che non siamo visionari. Che non ascoltiamo voci che provengono da chissà dove.

Secondo lei, chi ha issato lo stendardo “Klose mit uns” sapeva che il 16 ottobre ricorreva l’anniversario della deportazione degli ebrei romani? Mi auguro di no, ma credo di sì. Forse sarebbe comparso a prescindere dal 16 ottobre, ma sicuramente chi lo ha esposto era a conoscenza di quale messaggio celasse. Viene punito con il Daspo chi fa ironia con lo striscione “A noi ce s’è rotto er fax” e passa il “Klose mit uns” in caratteri runici.

È possibile che ai tornelli qualche funzionario non immaginasse che cosa rappresenta questo motto? Non so come vengano reclutati funzionari e steward e non entro quindi nel merito. Però mi auguro che chi si occupa della sorveglianza sia preparato e conosca le dinamiche della curva, sapendo distinguere tra uno striscione ironico e uno vergognoso. Una scritta in tedesco, composta in caratteri runici, sarà pure l’esaltazione di un calciatore. Ma qualcosa mi dovrà richiamare alla mente. Non credo che serva un docente universitario.

Cosa chiedete alla parte sana della tifoseria laziale, che poi è la stragrande maggioranza dello stadio? Ci piacerebbe che emarginasse la parte malata.

Come? Subissando di fischi quei cori. Sarebbe la cosa più bella. La nostra volontà non è che la Società Sportiva Lazio venga multata, anche se questo prevede la responsabilità oggettiva, perché conosciamo la sensibilità del presidente Lotito sull’argomento. Sappiamo che il club non vuole che questi mascalzoni prevalgano in Curva. Semplicemente, vorremmo che si smettesse di insultare gli ebrei in quanto tali, o gli zingari quando gioca una squadra di Mihajlovic - e questo vale anche per i romanisti, perché lo sento con le mie orecchie il coro Sinisa zingaro - o di lanciare un bu razzista verso un giocatore di colore quando compie un fallo o viene sostituito. Vorremmo che tutto ciò sparisse, perché - e ci tengo a evidenziarlo - quei cori non hanno nulla a che fare con la politica. Qui non si tratta di essere di destra o di sinistra. La politica è qualcos’altro. La politica non c’entra nulla con Auschwitz, le vostre case e i vostri forni, la politica non c’entra nulla con giallorosso ebreo, la politica non c’entra nulla con Sinisa zingaro, la politica non c’entra nulla con il bu a Eto’o piuttosto che ad Acquah durante Lazio-Palermo. Quando si dice fuori la politica dagli stadi, non ci si riferisce a questo: la politica è un esercizio molto più nobile. Fuori dagli stadi devono finire l’apologia di genocidio e il razzismo. E fuori deve finire anche l’antisemitismo, una forma peculiare di razzismo che si perpetua da secoli. Ecco perché noi ebrei in questo senso siamo molto sensibili, molto più di tanti altri. Ma questa sensibilità la rivendichiamo, assolutamente. Non ce ne vergogniamo.

Proposte? Immagino un intervento pedagogico. Per trasmettere delle idee sane. Si potrebbe organizzare un evento nel nostro Palazzo della Cultura che coinvolga Roma e Lazio, patrocinato da un quotidiano vicino alla Roma come “Il Romanista”, che ringrazio per quel titolo («Siamo tutti ebrei romani», ndr) che ci ha riscaldato il cuore. I capitani delle due squadre, Totti e Rocchi, potrebbero venire nelle nostre scuole a visitare i nostri bambini. Oppure si potrebbe coinvolgere una selezione di istituti scolastici romani. I ragazzi potrebbero visitare la zona dell’antico Ghetto, il Museo della Comunità ebraica, la Sinagoga. Magari accompagnati dai presidenti DiBenedetto e Lotito. Sarebbe un onore e un piacere. Di più: sarebbe un bel segnale. Anche se finora da parte della Lazio non c’è stata alcuna reazione. Ci ha offerto la sua disponibilità la Federcalcio, si sono mosse alcune testate giornalistiche. Ma da parte della Lazio silenzio totale. Questo ci dispiace.

Poco fa, però, sosteneva che Lotito fosse sensibile a certi temi. E lo confermo. Ecco perché sono stupito: non è il suo modo di fare. So che è uno irruente nel modo di proporsi e che quando agisce lo fa anche in maniera colorita, ma so pure che non si tira indietro. È un silenzio strano. Oltretutto è intervenuta anche la stampa tedesca, dicendosi allibita per i cori del derby e invitando Klose a dissociarsi. Il giocatore più o meno l’ha fatto.

Più meno che più. Diciamo che l’ha fatto... Ma si può fare di meglio. Chiediamo a tutti uno sforzo ulteriore. Vede, sottovalutare un piccolo seme di razzismo, perché per ora è piccolo, potrebbe essere pericolosissimo.

Ce lo insegna la Storia. Certo. Hitler era ritenuto un nanetto folle. Un altro, e mi perdoni se esco per un attimo dal seminato, è Ahmadinejad. Non è mai successo nella storia dell’Onu che un Capo di Stato possa chiedere la cancellazione di un altro Paese. Questo ci fa capire come sia rischioso sottovalutare alcuni fenomeni.

Torniamo alla prevenzione.Al di là di un singolo grande evento nella vostra comunità, che ne pensa di una campagna del Comune di Roma nelle scuole che veda la partecipazione delle società? Perché no. In fondo, la nuova proprietà della Roma è già molto vicina ai bambini: sta destinando un intero settore dell’Olimpico (i Distinti Nord lato Tevere, ndr) alle famiglie. In questa direzione, molto potrà fare più avanti lo stadio di proprietà.

Perché? In Inghilterra si sentono l’odore dell’erba, il rumore dello scarpino al contatto con il cuoio e la voce del giocatore che chiama la palla. Questo aiuta a generare cultura sportiva. In Italia annullerebbe quelle distanze tra lo spettacolo-calcio e chi ne fruisce. All’Olimpico, il tifoso non è immerso totalmente in quello che sta vedendo e viene distratto da altre cose. Cose che non c’entrano nulla con il calcio. Cose a volte sbagliate.

È il tipo di stadio che sogna Franco Baldini: «Niente polizia negli stadi, niente tessera del tifoso, nessuna tribuna lontana. Non voglio vedere agenti in assetto di guerra,ma steward, perché è chiaro che una certa coreografia, caschi e manganelli, suggerisce che il conflitto è una certezza più che un’eventualità». Ha ragione. Questo modello aiuterebbe a rendere il tutto più umano. A Roma lo spettatore è così lontano dal terreno di gioco che quello che succede sul campo non ne catalizza sempre l’attenzione. Quanto all’assenza di polizia, il fatto che lo stadio venga demilitarizzato credo che contribuirebbe a migliorare sia lo spettacolo, sia la convivenza civile. La presenza delle forze dell’ordine crea uno stato di tensione. Inevitabilmente. Mi permette però di fare una correzione a quello che le ho detto prima?

Prego. Ora che ci penso, forse per la Lazio sarebbe meglio far intervenire un altro giocatore al nostro evento.

Chi? Klose. Portiamo Klose. Tedesco, polacco di nascita. Portiamo lui. Facciamo vedere che non c’è solo il giallorosso ebreo ma pure il biancazzurro ebreo. Che tifa per la Lazio, che nella comunità ha la sua sciarpa della Lazio, che ci prende in giro per il derby perso. Chi porta allo stadio quello striscione deve sapere che sta facendo una cazzata. Che è anacronistico. Che è fuori dal mondo. Lui. Non noi.