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Lazio, una storia al servizio del potere

(Il Romanista – M.Izzi) Metto le mani avanti, non mi va di scrivere un articolo “contro” la Lazio. Alcuni dei miei migliori amici sono della Lazio, una parte della mia famiglia è “moderatamente” affetta da lazialità ….

Redazione

(Il Romanista - M.Izzi) Metto le mani avanti, non mi va di scrivere un articolo “contro” la Lazio. Alcuni dei miei migliori amici sono della Lazio, una parte della mia famiglia è “moderatamente” affetta da lazialità ….

Allora che faccio, intono un de profundis deferente alla moralizzazione didascalica? Non proprio, più semplicemente, rifiutandomi di mettere il naso in casa Lazio e ripugnandomi, da sempre, la pratica che in questo paese porta a gioire delle disavventure altrui, volevo avviare una riflessione, legata alla rivalità tra Roma e Lazio.

In più di un’occasione ho sentito sostenitori bianco-celesti, sostenere che il laziale per spirito è un “uomo contro”, un salmone che lotta contro corrente per il piacere di affermare un’idea, di veder riconosciuta un’autonomia e una superiorità morale.

Non posso prescindere neanche dal ricordare il “manifesto ideologico” del club nato per difendere i valori olimpici dello sport, con tanto di omaggio ai colori della bandiera greca e riferimenti, più o meno ricorrenti, alla parola d’ordine dell’importante è partecipare. Sarà anche così e del resto, se qualcuno sceglie di fare il tifo per una squadra di calcio una motivazione la deve certamente trovare e scegliere. Ma se, rispetto alle scelte individuali dei tifosi non ho niente da eccepire (e del resto che gli dici a uno che sceglie di tifare Lazio?) dal punto di vista del Club, qualcosina da ricordare, effettivamente, ce l’avrei.

A mio avviso la Lazio, nella sua storia, non è stata un Don Chisciotte dedito a portare avanti battaglie ideali e di bandiera (quel compito romantico e pesantissimo dal punto di vista pratico, i bianco-celesti lo hanno lasciato ad un sodalizio, la Roma, che partendo dal suo straripante seguito popolare aveva, oggettivamente, la forza sufficiente per poter sopportare l’onere di un peso così scomodo), è stata se mai, una società sportiva simbiotica al potere, quantomeno in una fase della sua storia.

Un potere che di volta in volta è stato organico ed interno al mondo dello sport o in sintonia con i vertici istituzionali e politici di regime (fino al 1944). Per anni ho ascoltato le sconclusionate tirate di chi diceva: “O scudetto v’ha fatto vince Mussolini…”. Cazzate seppellite dalla realtà, dai documenti e da verità storiche incontrovertibili …. Qualcuno preferisce invece glissare, su quello che divenne la Lazio una volta entrato nel Club, con il ruolo di Vice presidente, Giorgio Vaccaro, futuro presidente della FIGC.

Si preferisce glissare su come, nell’estate del 1934, Silvio Piola (un fuoriclasse e un gentiluomo), fu costretto ad approdare alla Lazio. Piola, che dopo aver a lungo rimandato, aveva dolorosamente deciso di lasciare la Pro Vercelli, aveva raggiunto un accordo con il Torino.

La Lazio era tra i pretendenti delusi, ma invece di rassegnarsi “sportivamente” all’abilità dei dirigenti granata, mobilitò i propri “canali politici” (tra questi il tesoriere del PNF Mannelli). Al Torino venne fatto sapere che il centravanti vercellese avrebbe fatto il servizio militare a Roma, che avrebbe giocato nella Lazio e che sarebbe stato “meglio” non insistere. L’ultimo ad arrendersi sarà proprio Piola che fece presente di non aver nulla contro la Lazio, ma di aver dato la propria parola al Torino. Naturalmente fu tutto inutile.

Nel secondo dopoguerra, nel clima di grandi difficoltà economiche affrontate dal paese, all’estrema solidità che ne aveva caratterizzato i bilanci, il sodalizio bianco-celeste vide sostituirsi una perenne crisi economica. La Roma, garantita dal suo pubblico, ha avuto un solo “Sistina”, la Lazio, viceversa, è stata ostaggio di una fragilità economica inestirpabile.

Per dimostrarlo, dopo Piola, ricordiamo un altro autentico galantuomo della storia laziale, un dirigente di valore e uno sportivo inappuntabile, vale a dire Gian Chiaron Casoni. Ebbene Casoni è l’emblema di una Lazio perennemente con l’acqua alla gola, che nel suo ruolo di dirigente già nel 1965, si adopera, per salvare il club ottenendo «la rinuncia o lo spalmamento di parte dell’ ingaggio» da parte dei giocatori.

Gian Casoni che ripete l’operazione nel 1980 dopo la retrocessione per il Calcio Scommesse, quando aveva assunto la presidenza laziale, con un atto di autentico coraggio, in un frangente drammatico. E infine, nel 2004, Gian Casoni è tra gli artefici della nascita del Lazionista: «Operazione economica che promosse sottoscrizioni di capitale sociale dirette o indirette della Lazio quotata in borsa». L’operazione fu un successo, infatti, nonostante le pessime prospettive economiche legate all’investimento, circa 5.000 famiglie di tifosi laziali raccolsero oltre un milione e mezzo di euro. Fu anche grazie a questo contributo che la società condusse in porto l’aumento di capitale che permise l’iscrizione della squadra al campionato di calcio.

Questa Lazio, quella della “diretta di 24 ore”, quella della mozione dei sentimenti, della generosità dei propri tifosi, è stata però anche, fisiologicamente una Lazio organica ai padroni del vapore, costretta ad adottare un profilo basso. Quando Sergio Cragnotti ha rotto con questa dinamica, lo ha fatto, evidentemente, nel modo sbagliato. Non lo dico io, ma i problemi giudiziari che dal 2003, hanno costretto l’ex amministratore delegato di Enimont e azionista di Cirio, a dimettersi dalla presidenza della Lazio calcio. Insomma Lazio-Inter 0-2 era scritto nella storia.

Altri capitoli della storia passata bianco-celeste (il totonero, le squalifiche di Manfredonia, Giordano e Wilson, le scommesse, le vicende legate ad ambienti economici equivoci, le disavventure di bandiere storiche come Chinaglia, Signori e recentemente Negro), ci permetterebbero di scrivere un libro, ma ci costringerebbe a sparare, ancora una volta, su comportamenti di uomini che sono sotto gli occhi di tutti (uomini che, tra l’altro hanno spesso pagato prezzi molto alti), e questo mi sembra inutile e di cattivo gusto.

Certamente, l’ultimo passaggio della presidenza Lotito, segna un momento di comprensibile amarezza per tutti quei tifosi della Lazio che avevano simpatizzato con il progetto di moralizzazione proclamato dall’attuale proprietà della SS Lazio.