rassegna stampa roma

La solitudine dei numeri 10

(Il Messaggero – E.Maida) – I silenzi assordanti di Totti e l’addio di Zarate alla Lazio, per approdare all’Inter, riportano in primo piano le difficoltà quasi croniche dei cosiddetti fantasisti a resistere nel grande circo delle...

Redazione

(Il Messaggero - E.Maida) - I silenzi assordanti di Totti e l’addio di Zarate alla Lazio, per approdare all’Inter, riportano in primo piano le difficoltà quasi croniche dei cosiddetti fantasisti a resistere nel grande circo delle banalità dove non contano i singoli, ma il collettivo.

Una specie di solitudine dei numeri 10 che dura da sempre, diciamo da quando Edson Arantes do Nascimiento, in arte Pelè, cambiò il gioco del calcio con una magica piroetta ai campionati mondiali di Svezia nel 1958. Da quel giorno nasce la storia di una maglia adorata e maledetta, di un simbolo che rappresenta la classe e in qualche modo la sregolatezza. Nessuno tra quelli che hanno indossato quella maglia è sfuggito al passaggio polemico, alle bizze degli allenatori, alle impuntature del presidente, ma nemmeno all’amore senza condizioni dei tifosi che hanno sempre deciso di stare dalla parte della fantasia. Rivera ha avuto i sei minuti dell’Azteca e perfino un allenatore, Marchioro, che voleva spostarlo all’ala destra. Baggio ha girato mezza Italia sbattendo il muso contro Lippi, che non è uno qualunque. Bearzot venne pubblicamente insultato da una tifosa scatenata per non avere convocato in Nazionale Beccalossi, estroso mancino dell’Inter nonché protagonista di una indimenticabile gag di Paolo Rossi, il cabarettista. Del Piero ha ormai fatto il callo alle sostituzioni e anche alle esclusioni che scandiscono il suo viale del tramonto. Totti doveva andare alla Samp secondo Carlos Bianchi e non sappiamo ancora come andrà a finire con Luis Enrique. Perfino il pluridecorato Leo Messi, stella del Barcellona, si scontra con le idee della panchina quando viene chiamato a far parte della nazionale argentina. L’ultimo caso che coinvolge Mauro Zarate non fa altro che confermare questa tendenza insieme al fatto che spesso le società non tengono nel minimo conto l’umore dei tifosi. I tanti bambini che avevano chiesto in regalo la maglia numero 10 dell’argentino, faticheranno ad accettare che il calciatore dei loro sogni, o se preferite delle loro illusioni, indosserà adesso la maglia dell’Inter. Stimolato, detto per inciso, da una clausola geniale che gli garantisce un ricco premio dopo dieci assist, quasi un invito a passare la palla ai compagni dimenticando l’egoismo di cui è stato spesso accusato durante il soggiorno romano. Se dipendesse dalla gente, insomma, questi esemplari che fanno parte di una razza in via di estinzione non cambierebbero mai bandiera perchè sono i giocatori che accendono la fantasia, quelli che possono inventare qualcosa in qualunque momento, quelli per cui si dice che valgono il prezzo del biglietto. Ma i tifosi hanno scarsa voce in capitolo. Ne hanno di più i presidenti che devono fare cassa e gli allenatori che per giustificare certe scelte impopolari chiamano in causa gli equilibri. Che fanno parte del calcio moderno come l’approccio, l’intensità, l’inerzia. E la noia.