rassegna stampa roma

La fame arretrata che chiediamo di saziare

(Il Romanista – P.Marcacci) – Dieci in storia dell’arte e almeno nove in geopolitca culinaria: gimkane tre le chiese più belle di Roma e pasta (si spera tonnarelli) cacio e pepe;

Redazione

(Il Romanista - P.Marcacci) - Dieci in storia dell’arte e almeno nove in geopolitca culinaria: gimkane tre le chiese più belle di Roma e pasta (si spera tonnarelli) cacio e pepe;

Thomas DiBenedetto è, in senso lato, un buongustaio, uno che sa vivere nonostante i bodyguard e malgrado i cronisti-centauri che hanno sciamato dietro di lui per tutto il centro storico. Siccome è femmina, la Roma che verrà si chiamerà Futura, come nella canzone di Dalla, magari spicciandosi il più possibile e con una precisazione: è regina da sempre, altro che principessa, perché non c’è altro pubblico al mondo capace di incoronare a prescindere la propria squadra. A prescindere, si: da tutto quello che nella storia non abbiamo vinto e che avremmo meritato; DiBenedetto certe cose le ha capite subito e non a caso ha nominato l’entusiamo della gente come fiore all’occhiello e Totti come denominatore comune multiplo del nostro senso di appartenenza. A Testaccio, mai simbologia fu meglio amplificata. Adesso, come è ovvio e come è tipico soprattutto del modo di ragionare "yankee", aspettiamo i numeri, freddi e spietati come ogni romanista spera che sia la nuova dirigenza, dopo che le avremo definitivamente preso la misura delle spalle. Ma, per quanto molto prossimo, questo è il domani, per costruire il quale non si può non guardare a ieri e il passato prossimo della Roma non serve che lo giudichi la storia, basta la bacheca: in quasi ottantaquattro anni purtroppo non certo prodighi di successi, la maggior parte dei trofei li ha incamerati la gestione Sensi, piaccia o meno; a prezzo di sacrifici gestionali, slanci e anche errori, frutto di passione e di fiducie a volte mal riposte in un calcio italiano che neppure dopo Calciopoli ha voluto saperne di cambiare del tutto. Certe cose non potremo più pretenderle e siamo certi di non vederle più, da parte di una presidenza: è il futuro, bellezza. Resta la "ciccia" però, che come portata di una metafora culinaria viene dopo il cacio e pepe che DiBenedetto ha saputo subito apprezzare: gli scudetti (quello vinto e quelli meritati sul campo), che DiBenedetto ha già nominato quasi come fossero il mantra del futuro, la Coppa Italia, la Supercoppa Italiana: questo è il livello minimo dell’asticella, la pietra di posa dalla quale ripartire. Questo è l’obiettivo minimo che ogni tifoso giallorosso pretende, competitività costante per il vertice alla quale ci siamo abituati e che va chiaramente potenziata, fatta crescere, coronata. Da che mondo è mondo, è per questo che vengono gli americani. Tra qualche tempo cominceremo a fare considerazioni sulle scelte, quadri tecnici e dirigenziali: prima le firme, poi le strategie. E magari pure qualche chiarificazione in più sulla cronistoria della trattativa. In mezzo, a far da ponte tra passato e futuro, un presente di cui riacciuffare perlomeno il decoro, svaniti per dolo i sogni della gloria che poteva essere: guarda caso, la Juve, sempre lei; signora invecchiata precocemente, più che Vecchia Signora fascinosa del fascino che in Italia ha sempre avuto il potere, inteso senza pregiudiziali morali. Pur sempre Juve, però, una simbologia che DiBenedetto non potrà mai cogliere appieno; sarà facile fargli capire cosa rappresenti la Lazio, ma la metafora-Juve, che dall’altra parte dell’oceano è incomprensibile, per mentalità e per amore delle regole, gliela risparmiamo. A maggior ragione oggi, che Juventus vuol dire soltanto (fino a quando?) avversario di turno, peraltro inferiore tecnicamente e pure incerottata, viste le pesanti assenze certe e quelle probabili, da Chiellini a Del Piero. Se non gli interessa la metafora, però, DiBenedetto ha già capito che è fondamentale la partita, per il futuro e per il portafogli, due cose difficilmente separabili peraltro; ha già compreso cosa voglia dire Champions, come possibilità del presente e sogno del futuro, in tutte le sue accezioni, quindi. Al fischio d’inizio di Rocchi, sarà già cominciato il domani, Mr Thomas e, se conta tutte le volte che l’abbiamo nominata, in questo articolo, potrà già capire quale grande responsabilità le assegniamo, quali sogni e speranze le consegniamo, quanta fame arretrata le chiediamo di saziare: è una cosa che spaventa, se uno ci riflette. Ma nessun tifoso le chiederà mai di riflettere. Casomai, di spendere e, ancor prima, di parlare chiaro. Buona Roma, in tutti i sensi.