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LA CINQUINA – 3, Il derby che vinse due volte

(Il Romanista – V.Meta) Raramente la sorte concede una seconda volta. Quando lo fa, è impossibile dimenticarlo.

Redazione

(Il Romanista - V.Meta) Raramente la sorte concede una seconda volta. Quando lo fa, è impossibile dimenticarlo.

Certe giornate non hanno abbastanza ore per contenere tutte le emozioni che vorresti metterci dentro, finiscono prima che si riesca a metterle a fuoco. La giornata del derby numero tre era una di queste perché al 2-0 dell’Olimpico aveva fatto da anticipazione il 4-1 degli Allievi e allora anche per raccontarlo ci vuole una ripetizione. Non basta dirlo una volta sola, bisogna rafforzarlo, reiterarlo, sdoppiarlo perché è come se un giorno ne avesse contenuti due e allora le emozioni traboccano, le senti ancora presenti e vive e va bene così.

Si giocava il 7 novembre (data fausta per il calcio italiano dato che ha visto nascere Gigi Riva) e da circa una settimana la città giaceva tramortita sotto una pioggia senz’anima, quanto basta per portare il traffico oltre il limite di guardia e con esso pure la pazienza dei cittadini, come se a logorare i nervi non fosse sufficiente l’attesa per un derby chiamato a dire la verità sulla Roma. Tutti avevano ancora negli occhi la notte di Basilea che aveva improvvisamente rilanciato le ambizioni della squadra di Ranieri in Champions League.

Molti si stavano chiedendo se Leandro Greco - l’uomo dello scacco matto in Svizzera - fosse una geniale intuizione del tecnico o piuttosto la conferma della buona stella che ne governava il cammino. La Roma aveva vinto gli ultimi due derby, certo il tris aveva il suo fascino, ma la Lazio era in un buon momento, al punto che a Formello c’era chi profetizzava una vittoria a mani basse. In realtà tutto era cominciato molto prima del fischio d’inizio dell’Olimpico, in una sorta di anticipazione prefigurante che solo alla fine dei giochi sarebbe stata riconosciuta come tale.

Perché vincere un derby è bello - e, parole di Claudio Ranieri, «fa godere come ricci» -, ma vincerne due in meno di otto ore è qualcosa che fa saltare il banco. A goderne solo un pugno di fortunati - ché certe cose non possono essere concesse a tutti - , quelli che alle dieci e mezza del mattino sfidavano il sonno e i postumi del sabato sera per guardare una Roma di sedicenni fare a pezzi i coetanei della Lazio con una facilità imbarazzante. Non poteva sapere Valerio Verre, capitano e leader di quegli Allievi Nazionali, che di lì a poche ore Marco Borriello avrebbe come lui piazzato la palla sul dischetto per poi incamminarsi verso la rincorsa, anche se forse al giovane centrocampista sarebbe piaciuto vedere dietro la porta della Lazio quella curva Sud in cui andava sempre da tifoso. Tantomeno Verre poteva immaginare quanto migliore sarebbe stata la sua esecuzione dagli undici metri rispetto a quella del centravanti napoletano: in compenso il paragone fra il perfetto destro a incrociare con cui Valerio aveva spiazzato il portiere e il sinistro finito in rete solo grazie a una papera del mai abbastanza rimpianto Muslera sarebbe balenato in mente a più d’uno degli spettatori dei due atti del derby.

Alla fine del primo - 4-1 della Roma dei sedicenni, oltre a Verre segnarono Frediani, Pagliarini e Terriaca - l’intervallo sembrava troppo breve, si correva verso il gruppo d’ascolto più vicino, in pochi andavano allo stadio, ché la Roma giocava fuori casa e quasi nessuno aveva voglia di fare il biglietto. Troppo poche due ore scarse per riuscire a smaltire le emozioni e disporsi a guardare i grandi a mente sgombra, così al fischio d’inizio la tensione ha un fondo di adrenalina e per tutto il primo tempo si fatica a portare fino in fondo un respiro. Mancano cinque minuti all’intervallo, quando Menez si fa male e costringe Ranieri a sostituirlo. Entra Leandro Greco. Solo pochi giorni prima era nato a nuova vita segnando un gol bello e difficilissimo nella fredda notte di Basilea, 3-2 agli svizzeri e tutti a chiedersi da dove fosse sbucato quel ragazzo che parlava sottovoce pure dopo aver resuscitato le speranze europee della Roma.

Sembrava destinato a una maglia da titolare anche contro la Lazio, alla fine Ranieri gli preferì Menez, ma quell’infortunio spedì in campo Greco quasi senza riscaldamento. Leandro non tremò, tutt’altro: tempo di toccare il primo pallone che già la sua favola sembrava toccare il suo apogeo, se soltanto l’arbitro non gli avesse annullato - per fuorigioco di Borriello e pure molto dubbio - il gol che avrebbe fatto esplodere l’Olimpico. Lui la prese con filosofia, rifacendosi con i due assist per Simplicio e Baptista, che avrebbero ringraziato procurandosi altrettanti calci di rigore rispettivamente in apertura e chiusura di secondo tempo da Vucinic e Borriello. Chissà se mentre si prendeva gli applausi della Curva Sud a fine partita a Greco saranno passate per un istante davanti agli occhi le immagini dell’altro derby di rinascita, quello che nella Primavera del 2005 - pochi mesi prima dello scudetto - segnò il suo ritorno in campo da titolare dopo i sei mesi passati a lottare contro una setticemia che era arrivata a paralizzargli i muscoli della gamba. E allora forse era la vita che abbracciava forte Leandro attraverso le braccia tatuate di Daniele De Rossi, che sotto la Sud lo travolse quasi fino a fargli perdere l’equilibrio per dargli quello che aveva tutta l’aria di un bacio accademico. Ben fatto, ragazzo Doppio sogno, avrebbe detto Arthur Scnhitzler.

No, perché dai sogni ci risveglia inesorabilmente, mentre da quest’opera in due atti si esce con la consapevolezza che è tutto vero e a farti capire che non è stato un sogno a ingannarti basta una telefonata, la prima che fai la mattina dopo con la voglia di cercare una rispondenza nelle parole dell’altro, il filo del telefono che allaccia le tue sensazioni a quelle altrui, forma un nodo, stabilisce un contatto fondato su una doppia condivisione - legame fra privilegiati dai cuori forti. «Buongiorno, come stai?» «Bene. Benissimo...». Poi un momento non di silenzio, ma di non detto - che resti tutto sottinteso eppure evidente, è ancora più bello così. Infine ai due capi del filo riecheggia simultaneo lo stesso sospiro di beatitudine. Abbiamo vinto due derby, niente può andar male. Non oggi, almeno.