rassegna stampa roma

L' alba di Luìs Enrique ma la Roma è già a un bivio

(La Repubblica – E. Sisti) – Quante cose tutte in un giorno. Mancano solo i sorrisi.

Redazione

(La Repubblica - E. Sisti) - Quante cose tutte in un giorno. Mancano solo i sorrisi.

Talmente pochi che verrebbe da chiedersi se per caso non sia il tramonto anziché l’alba di una nuova era. Bojan, che pure è il simbolo della plantilla potente e giovane auspicata da Luis Enrique, allenatore e musa ispiratrice di questa nidiata mista a senatori, non riesce a ostentare un’espressione distesa neppure quando si rende conto che i tifosi slovacchi cercano più lui di Totti.

«Totti?», si interroga una ragazza molto giovane, troppo forse per avere in casa il poster di un campione di 35 anni. Dunque tutto oggi. Da Boston arriva Thomas Di Benedetto. Si chiuderà negli uffici degli avvocati con in tasca la quietanza del bonifico che una volta stipato nelle casse di Unicredit sancirà il definitivo passaggio di mano della società (con, si dice, i Della Valle alla finestra...). Poi forse volerà allo stadio Pasienky. Dall’Argentina stasera arriva Lamela, il frutto proibito. Domani sottoporrà ai medici di fiducia del club la sua caviglia stressata fino ai quarti dei mondiali U20. Da Bratislava, contro lo Slovan (ore 21, Premium Calcio 1), passando per il sudore di un play-off di Europa League, la Roma deve convincere. Anzitutto se stessa. Che il sogno di giocare alti, «attaccare e difendere tutti», che il meccanismo collaudato con gli spensierati ragazzi del Barcellona B possa diventare una realtà anche lontano dal paradiso. Che possa non limitarsi ai sei gol presi e alle turbe tattiche sofferte con Psg e Valencia: «Ma al Mestalla era prevedibile che affondassimo. Forse non siamo ancora alle bavarole e al biberon, certo non possiamo crescere in un sol colpo», riconosce Enrique.

Contro lo Slovan — una Coppa delle Coppe ‘69 (battè in finale il Barcellona pre-Cruijff), colori biancocelesti per aumentare le motivazioni, 1° in classifica in campionato ma fuori ai preliminari di Champions con l’Apoel Nicosia, e dal 6 agosto allenato ad interim dal ct Weiss, quello ha sbattuto fuori l’Italia in Sudafrica — si può aprire la porta dei gironi dell’Europa League o chiudersi anticipatamente un’epoca. Se esce subito (ritorno il 25 all’Olimpico) Enrique rischia la tritatura. Troppo giovane, lo dipingerebbero. Troppo ardito. Troppo veloce nel cercare soluzioni e coraggioso nell’opporre una forza centrifuga al tradizionale impianto del pensiero giallorosso (i giocatori simbolo, la sensazione di lottare per alti traguardi, l’ansia di prestazione provocata da un paio di scudetti acciuffati e sfuggiti non si sa come). Fallendo la sua idea di calcio fallirebbe il progetto di radicale cambiamento che la nuova Roma di Di Benedetto sta osando effettuare: «E io aspetto rinforzi».

Per ora parole incrociate: Fernando, Casemiro, Nilmar, Kjaer. L’Europa League è lo “stargate” del dopo-Sensi. Totti sul sito ha ricordato Franco a tre anni dalla scomparsa. Ma Totti ha il viso tirato. È uno dei ritratti di questo embrione di squadra ma è anche in testa a un immaginario eppure concreto partito dei malavoglia (con Borriello e Pizarro). Di De Rossi, squalificato, si sa poco. Vuole andare via? Vogliono tenerlo o farci cassa? L’altro partito è quello dei ragazzini (Viviani, Verre e Caprari fra campo e panchina). Non sono tristi: magari un po’ spaesati. Totti pare invece sofferente. Dentro. Fuori è magro come mai. Cosa abbia non è chiaro: «Mai sentito Cassano per telefono». Forse non è pigro come dice Baldini. Forse è solo stanco. Letterariamente di tutto.