(Il Romanista-Fotogramma-P.Marcacci) Prima di essere uno stadio decoroso, il “Friuli” era una terra che un suo figlio prediletto e controverso, tale Pasolini Pier Paolo, definì “Paese di tem-porali e di primule”:
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Il Fotogramma
(Il Romanista-Fotogramma-P.Marcacci) Prima di essere uno stadio decoroso, il “Friuli” era una terra che un suo figlio prediletto e controverso, tale Pasolini Pier Paolo, definì “Paese di tem-porali e di primule”:
a rischiarare il cielo, un piccolo arcobaleno di undici metri, che amore fa rima con rigore; solo chi vuol bene alla palla può farle una carezza del genere, che se la palla dorme sul dischetto neppure si desta al contatto; si sorprenderà, semplicemente, di ritrovarsi in fondo ad un abbraccio morbido che si chiama rete: fatta per avvolgere e coccolare, materna come una culla di numeri che continuano a crescere mentre intorno il mondo cambia: là dove c’era Van Der Saar, ricordi di “Belgiolanda”, ora c’è Handanovic che sceglie il lato dove buttarsi per non guardare ciò che gli spiove alle spalle. Un rigore così, che qualcuno chiama cucchiaio, è in realtà come alzarsi la mattina e scoprire che il ladro t’è entrato in casa mentre dormivi, senza farti accorgere di nulla, magari neutralizzando il tuo costosissimo antifurto. “Come avrà fatto?” ti chiedi d’istinto e l’istintiva ammirazione quasi prende il sopravvento sul disappunto.
Come uno silenzio, rotto solo dal brusio di chi interroga lo sguardo del vicino di posto per indagare se almeno lui se l’aspettasse, una cosa del genere. La palla, all’ultima piroetta, accusa quasi un capogiro se si osserva bene la traiettoria, come un astronauta che, dopo mesi di assenza di peso, si trovasse a riacquistare di colpo la propria gravità, sorprendendosi a testa all’ingiù, col sangue che arriva al cervello, come ci dicevano da piccoli e come ancora oggi capita ai detrattori di un giocatore infinito che non trova- no più appigli ai loro preconcetti, al loro dovere (non diritto) di critica, alla mancanza di obiettività che li rende macchiette dell’opinione. Definireste mai “quadro” un’opera di Caravaggio? No, direste che si tratta di un Caravaggio, col nome che riassume tutto, semplicemente, a connotare una categoria che esula dai canoni normali, che fa storia a sé, come il modo di battere di Totti che non sarà mai un rigore, sarà un Totti dal dischetto, tra le mille varianti del genio. Che nell’istante che precede il pun- to che chiude la frase, ha già scritto un Fotogramma oltre, quello dell’uno a due.
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