(Il Romanista - Il Fotogramma - P.Marcacci) Come i chilometri che all’incirca separano Roma da Firenze; come un passo più in là rispetto all’ultimo tabù che si è inchinato; come tutte le occasioni che Sinisa ha perso per tacere;
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201 come…
(Il Romanista – Il Fotogramma – P.Marcacci) Come i chilometri che all’incirca separano Roma da Firenze; come un passo più in là rispetto all’ultimo tabù che si è inchinato; come tutte le occasioni che Sinisa ha perso per tacere;
come i battiti del cuore accelerati ogni volta che hai calciato; come i calci che hai preso a tradimento, moltiplicati per qualche milione di avversari che hanno trovato contro le tue caviglie il loro quarto d’ora di celebrità; a proposito di milioni: come quelli in più a cui hai rinunciato per anteporre il cuore alla carriera; come le migliaia di stronzate che t’hanno vomitato addosso e che ogni volta hai ricacciato in gola agli stolti, quelli celebri e quelli che parlando di te hanno conosciuto il brivido di un’Ansa; come i Sabelli Fioretti e tutti i radical-chic che non hanno capito cosa sia tu per il popolo e il popolo per te; come una piccola comunità di emigranti italiani in qualche parte del mondo dopo un rigore all’Australia; come tutti quelli che si defilarono, per quel rigore; come le ingratitudini che sbocciano, idiote e spontanee, persino all’interno della tua città; come le pagine di una storia che rifiorisce più bella ogni volta che i gufi si pronunciano sulla sua fine; come le idiozie che m’è toccato ascoltare sul tuo contratto;
come le volte che la Roma se lo ripaga, quel tuo contratto; come la percentuale di quelli che scommettevano che non ce l’avresti fatta, a giocarti quella Coppa del Mondo; come i calci che avevi già preso da Vanigli prima del fallo definitivo di quel Roma-Empoli; come i palloni utili che ti passano per i piedi a ogni partita, come i decimillimetri di pallone che ieri t’è bastato utilizzare per quello stop dell’ottantesimo minuto; come i cucchiai del servizio buono a ogni calcio d’inizio che c’hai invitato a pranzo, come le volte che t’avrà sognato Van Der Saar; come gli applausi dei doriani dopo quel sinistro di un altro pianeta che facesti atterrare all’angolino basso di Marassi; come le invidie per una vita dove il normale e l’eccezionale continuano a bilanciarsi con quella saggezza che è innata in chi resta alla fine uguale a se stessa; come le cose più turpi che t’ha augurato chi non ha mai voluto ammettere la tua grandezza, come le partite che ancora ti auguro perché equivale ad augurarle a me stesso, tifoso che ha il privilegio di scriverne: 201, poi 201.
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