(Il Romanista - P.Marcacci) - La partita e la festa, non solo come metafora, in Italia eternamente mancata, ma anche come rito comandato dal calendario, civile o liturgico, che coincida con quello dei rimasugli di un girone d’andata.
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I bambini all'Olimpico: sono loro gli abitatori naturali degli spalti
(Il Romanista – P.Marcacci) – La partita e la festa, non solo come metafora, in Italia eternamente mancata, ma anche come rito comandato dal calendario, civile o liturgico, che coincida con quello dei rimasugli di un girone d’andata.
In Inghilterra, si sa, è binomio indissolubile, più sacro quasi di pudding e budini; in Spagna lo è diventato, basti pensare al Camp Nou di cinque giorni fa, quando il Barcellona ha faticato contro il Levante. Da noi, no, da noi la partita nel giorno di festa continua ad essere qualcosa di incidentale, posta in essere solo perché impossibile da evitare vista la costrizione e la compressione delle date.
Nonostante questo, nel vedere i bambini dell’Olimpico di ieri, quelli che i genitori hanno avuto il coraggio (e la possibilità economica) di portare, si è avuta la sensazione, come sempre in questi casi, che fossero loro gli abitatori naturali degli spalti, quelli privilegiati per status anagrafico ed emotivo, quelli cui i protagonisti del nostro calcio devono ciò che resta della loro dimensione di “miti”.
Eppure al tempo stesso dei malcapitati, qualcuno dei quali si era portato appresso la calza giallorossa dell’Epifania mangiata per metà; nell’Olimpico troppo freddo, troppo scomodo, dove l’azione che si sviluppa agli antipodi del posto dove si è seduti è quasi un miraggio, un qualcosa da intuire e dove un papà che si senta chiedere pizzette o pop corn sa che spenderà l’equivalente di una spesa media al supermercato. Senza contare i soldi per il Borghetti, molto probabilmente annacquato, necessario per lenire gli effetti dell’umidità che sale dal Tevere.
Sono sempre le stesse parole, le stesse analisi che ci giochiamo come didascalia per corredare la cartolina desolante dei nostri stadi; però se ogni volta ci troviamo a fare lo stesso, monotono discorso, è perché gli stadi sono sempre uguali e i bambini sempre meno. Come fosse un dato di fatto che il tifoso italiano, così come il cittadino in generale, debbano sempre meritarsi un trattamento di serie b, ineluttabile come una condanna. Ma che male abbiamo fatto però? Forse solo quello di aver creduto per troppo tempo alla Befana, quella stessa Befana che in altri paesi consegna sempre una calza a forma di scarpino, più bella, più variopinta e a prezzi più bassi.
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