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Il fair play finanziario che ingabbia i club: come funzioneranno i controlli dell’Uefa

(Corriere dello Sport – A.Maglie) – Due parole cambieranno, probabilmente, il mon­do del calcio: «Scarto accettabile» . Sono conte­nute nell’art. 61 del ponderoso «regolamento del­l’Uefa per la concessione della licenza ai...

Redazione

(Corriere dello Sport - A.Maglie) - Due parole cambieranno, probabilmente, il mon­do del calcio: «Scarto accettabile» . Sono conte­nute nell’art. 61 del ponderoso «regolamento del­l’Uefa per la concessione della licenza ai club e il fair play finanzaziario » .

A gennaio, quando Mi­chel Platini venne in Italia e incontrò presidenti e dirigenti delle squadre che avevano partecipato alle coppe europee, alcuni provarono a dirgli che non si può impedire ai dirigenti che lo vogliono di far crescere le società anche a proprie spese, pur­ché certificate e non «taroccate». Platini gelò tut­ti: « Va bene così » . Conseguenza: tutti dovranno uniformarsi e per i club italiani il futuro si annun­cia duro perché il controllo dei costi unito a una li­mitata crescita dei ricavi finisce per allontanarli non solo dall’Inghilterra ma anche dalla Germa­nia.

LO SCARTO -La definizione del«concetto di scarto accettabile»è contorto da un punto di vista lingui­stico ma quasi elementare dal punto di vista pra­tico. La filosofia del Fair Play finanziario è nota: costi e ricavi devono essere in equilibrio, chi in­tende partecipare alle competizioni europee non deve spendere più di quel che incassa. L’obiettivo è semplice: il pareggio, evitare come, disse tempo fa Platini, che i club conquistino la Champions praticamente«comprandola»a rate. Ma è chiaro che l’equilibrio non può essere raggiunto in tem­pi rapidissimi. Il traguardo è fissato al 2018-2019. La Uefa ha così definito una fase intermedia in cui l’asticella viene sempre più alzata o, meglio, trat­tandosi di uno«scarto accettabile», abbassata si­no ad annullarsi completamente. E’ la rivoluzione culturale di cui parlano alcuni presidenti e che sembra incontrare il consenso soprattutto dei più Grandi (Inter, Milan Juventus). La cosa funzione­rà così. Il controllo dei bilanci da parte dell’Uefa comincerà con la prossima stagione. Il«monito­raggio »sarà il presupposto per l’iscrizione ai tor­nei del 2014. Per ogni stagione, viene accettato uno scarto di 15 milioni di euro e, facendo riferi­mento a un triennio, si arriva a uno scarto com­plessivo di 45 milioni. Essendo controllati, in que­sta fase d’avvio, solo due esercizi, la perdita an­nuale potrà essere superiore perché il dato com­plessivo viene confermato (in sostanza, 22 milioni e mezzo).

SCURE -Poi, però, l’asticella si abbassa e si scende a 30 milioni nel triennio per essere iscritti alle competizioni del 2015-2016. La strada, come si no­ta, è stretta. E non può che avere una incidenza sia sul mercato che sugli ingaggi. Perché, è evidente, che chi ha ricavi più elevati (il Real Madrid, ad esempio, è arrivato a 438 milioni, quasi quattro volte il fatturato della Roma) potrà muoversi me­glio. E’ vero che dal conteggio fra dare e avere, la Uefa per favorire gli investimenti tecnici e patri­moniali, ha escluso le spese per l’ingaggio dei cal­ciatori diciottenni e per la costruzione dello stadio, ma la normativa, alla fine, può rischiare da un la­to di bloccare la crescita di quei club che possono confidare su un socio forte particolarmente muni­fico (ripianare le perdite eccessive evita il falli­mento ma non l’esclusione dalla competizione eu­ropea), dall’altro consolidare, a livello sportivo, la supremazia di chi ha già fatturati molto ricchi.

STIPENDI -C’è un altro vincolo che rischia di tra­sformarsi in un vero cappio al collo per il calcio italiano: stipendi e ammortamenti. Il fair play fi­nanziario obbliga i club a spendere per stipendi (lordi) e ammortamenti non più del 70% dei rica­vi. Una soglia che la serie A scavalca con una cer­ta facilità visto che i salari da soli mediamente as­sorbono il 70% degli introiti (ma alcuni club van­no decisamente oltre, l’Inter, la Roma). La realtà è che il pallone dei mecenati è finito, ora le follie sono «vietate per legge». Una realtà con cui tutto l’ambiente (tifosi compresi) dovrà fare i conti.