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Il calcio in assemblea, senza voglia di cambiare

(Corriere della Sera – F.Monti) Si celebra oggi a Roma l’assemblea della Federcalcio, convocata, non senza fatica, per procedere ad alcuni aggiustamenti tecnici dello Statuto approvato nel gennaio 2007, necessari per uniformarsi ai...

Redazione

(Corriere della Sera - F.Monti) Si celebra oggi a Roma l’assemblea della Federcalcio, convocata, non senza fatica, per procedere ad alcuni aggiustamenti tecnici dello Statuto approvato nel gennaio 2007, necessari per uniformarsi ai principi informatori del Coni.

La federazione delle federazioni, come è nei fatti il Comitato olimpico, ha il potere di dare indicazioni per la nomina di un commissario ad acta, nel caso in cui lo Statuto non dovesse essere modificato. Ma le novità sono state ridotte ai minimi termini (otto punti), in modo da evitare che l’assemblea di oggi si trasformi in una battaglia, della quale il calcio non ha bisogno. In sostanza, c’è una riappropriazione della titolarità di alcune nomine federali (Covisoc e giustizia sportiva), mentre gli arbitri sono riusciti a difendere la loro autonomia, nonostante il pessimo uso che ne hanno fatto in questi anni. Il valore dell’assemblea di oggi è un altro. Si tratta di capire se davvero il mondo del calcio ha intenzione di rinnovarsi o se l’unico punto in comune delle sei componenti (Lega di A/B, Pro, Dilettanti più allenatori, calciatori e arbitri) è rappresentato dall’elevata propensione al litigio, la difesa degli interessi particolari, l’esaltazione dei personalismi, la smania di protagonismo e il giovanilismo di chi dovrebbe far funzionare una federazione, dove il presidente (per statuto) conta poco. La riduzione ai minimi termini delle modifiche statutarie è dovuta al fatto che in Figc, per cambiare, è necessario ottenere il 75%dei voti in assemblea, avendo però almeno un terzo dei voti di ciascuna delle sei componente presenti in Consiglio.

È la famosa «clausola di largo consenso» o «diritto di veto» della quale si discute da mezzo secolo. Il vicepresidente vicario, Carlo Tavecchio, dopo nove riunioni della Commissione per la riforma dello Statuto, aveva proposto di scendere al 66%, senzapiù il vincolo di 1/3 dei voti di ciascuna componente, ma la sua proposta è stata accantonata. Per cui in Federcalcio si può non modificare lo Statuto (e non solo), pur arrivando ad avere il 98,44%dei voti. Una situazione grottesca. Per questo il presidente Abete ha chiarito che «sarà necessario portare all’attenzione del Coni il problema che riguarda il vincolo sui voti. È un aspetto che va cambiato, tenendo conto che lo stesso Statuto del Coni, ente vigilante delle federazioni, può essere modificato a maggioranza assoluta senza diritti di veto» . Tradotto: basta il 51%. Tutto questo mentre non c’è ancora un vero accordo sulla rappresentatività delle due Leghe di Milano nel comitato di presidenza, dopo il divorzio del 1 ° luglio 2010: la cosiddetta confindustria del pallone conta in tutto il 17%, diviso per ora in 12%(serie A) e 5%(serie B), ma più in là di questo non si va.

Altri problemi restano (irrisolti) sul tavolo del calcio. L’accordo collettivo fra le società di A e il sindacato calciatori non è stato ancora chiuso (c’è soltanto la firma dell’Aic, dopo il balletto della Lega di A) e la medesima Lega di A va avanti con continue liti per i soldi e con un presidente dimissionario (Beretta), impegnato a tempo pieno nel suo nuovo prestigioso incarico in Unicredit. Resta irrisolta soprattutto la vera questione della riforma dei campionati professionistici. Per ora si arriverà ad una Lega Pro con meno squadre (ora sono 90), perché le società che non saranno in grado di iscriversi non saranno sostituite attraverso i ripescaggi. Il pallone italiano avrebbe bisogno di un grande progetto; l’assemblea di oggi chiarirà se gli interessi riformatori si fermano al cortile di casa.