(Il Romanista - C.Fotia) - Cos’è il calcio nella sua ultima essenza? Difficile dare una definizione che non sia soggettiva. Proverei a dirlo così: è estetica, quando ci dona il gesto atleticamente perfetto, scintillante come un diamante raro;
rassegna stampa roma
Il bello del calcio
(Il Romanista – C.Fotia) – Cos’è il calcio nella sua ultima essenza? Difficile dare una definizione che non sia soggettiva. Proverei a dirlo così: è estetica, quando ci dona il gesto atleticamente perfetto, scintillante come un...
è epica, l’«ohhh!» di stupefatta sorpresa, il segno della comunione tra un popolo e i suoi eroi sul campo; è etica quando raggiunge il suo fine ultimo, donare la gioia a quel popolo. Ecco come quest’essenza riluce negli immortali versi di Umberto Saba: «Correvano su e giù le maglie rosse,/le maglie bianche, in una luce d’una/strana iridata trasparenza. Il vento/deviava il pallone, la Fortuna/si rimetteva agli occhi la benda./Piaceva/essere così pochi intirizziti/uniti,/come ultimi uomini su un monte/a guardare di là l’ultima gara». Dice il poeta Fernando Acitelli, autore di bellissime poesie dedicate al pallone: «Ogni popolo ha bisogno di un’epica. Anche un’epica “minore”, come può essere quella calcistica, serve a sostenere i nostri giorni». Anche noi ne abbiamo bisogno. E non ne possiamo più di chi ci scassa l’etica, l’epica e l’estetica. State a sentire perché. Domenica sera, Stadio Olimpico di Roma: Gago (che, sia detto per inciso ma non tanto, insieme a De Rossi e Pianjc dà vita al centrocampo più forte d’Europa) scende sulla destra e finta un cross, poi vede sull’angolo sinistro dell’area Osvaldo e confeziona un passaggio morbido a mezz’aria. Il centravanti argentino, spalle alla porta, è leggermente arretrato rispetto al pallone, allora compie una torsione improvvisa della schiena, vola a mezz’aria con un gesto atletico straordinario e con una sforbiciata di incredibile perfezione tecnica segna un goal che appartiene alla lirica.
In quell’attimo così bello da piangere, la perfetta bellezza di un gesto atletico costruisce un racconto che fa vibrare un popolo e raggiunge così il suo fine ultimo che è donare gioia. Due grigi burocrati, uno con un fischietto in mano, l’altro con una bandierina, vedono un fuorigiuoco inesistente e annullano il goal. Non me ne importa nulla che la Roma ha vinto lo stesso, me ne frego se c’è o non c’è malanimo contro di noi: non voglio alcuna pena minore dell’espulsione di quei due a vita dal mondo del pallone. Essi, infatti, hanno commesso ben più di un errore: un assassinio. Hanno ucciso la poesia. O meglio, ci hanno provato, perché, come accade per i poeti assassinati dai regimi dittatoriali, l’aura dei loro versi resta oltre la loro vita mortale. Così, la condanna a morte - decretata da due ottusi funzionari del regime che uccide ogni giorno la bellezza del calcio - rende immortale il gesto del poeta Osvaldo. Lo scolpisce nei nostri cuori, insieme come una gioia e una ferita. Altri grigi burocrati si accanivano, nella stessa giornata e nello stesso stadio, contro la stessa comunità, fermando, espellendo dallo stadio e multando alcune decine di ragazzi (tra cui un quattordicenne) colpevoli di aver portato nello stadio delle pericolosissime armi improprie: alcuni fogli di plastica con i quali avrebbero dovuto contribuire a disegnare la pacifica e civilissima coreografia della Sud. Ma che follia è mai questa? Ma davvero credete che siano questi i violenti da contrastare? Ma non avete cose più importanti a cui dedicarvi? Orbene, non avendo avuto alcuna risposta dal ministro Maroni, ci permettiamo di rivolgerci con qualche speranza (ma non tante) in più al neoministro degli Interni, il prefetto Annamaria Cancellieri, ai vertici della polizia, ai responsabili della sicurezza: volete per favore restaurare i diritti dei cittadini negli stadi? O dobbiamo pensare che lì la democrazia è sospesa per sempre? Attendiamo il governo Monti a questa piccola prova di discontinuità. Il diavolo, si sa, si nasconde nei dettagli.
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