(Il Messaggero - S.Carina) Uno è nato a Boston, l’altro è romano doc. Classe ’49 il primo, otto anni più giovane il secondo. Il derby di oggi è anche - ma forse soprattutto - il loro derby.
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I signori del derby
(Il Messaggero – S.Carina) Uno è nato a Boston, l’altro è romano doc. Classe ’49 il primo, otto anni più giovane il secondo. Il derby di oggi è anche – ma forse soprattutto – il loro derby.
Difficilmente due presidenti, come Thomas DiBenedetto e Claudio Lotito, possono essere più differenti. Pacato, riflessivo, a tratti serafico il numero uno giallorosso; ironico, istintivo, spesso polemico quello biancoceleste. DiBenedetto è all’esordio nella stracittadina: Lotito, invece, è giunto al sedicesimo round.
Se non fosse per il filotto negativo, rappresentato dalle ultime 5 sconfitte, il suo bilancio sino ad un anno e mezzo fa era quantomeno lusinghiero: 4 vittorie, 4 pareggi e 2 sconfitte. Poi, però, ci hanno pensato i 5 stop di fila a rendere il resoconto negativo. Essendo al debutto, lo statunitense conosce poco e nulla di questa partita. Ha quindi chiesto informazioni al ds Sabatini e con l’ingenuità, che contraddistingue proprio chi non conosce cosa vivrà questa sera, si è lasciato scappare un paragone a dir poco scivoloso: «Mi hanno detto che è una gara simile a una guerra civile». Termine, tramutato poco dopo, in «battaglia» quando però a livello mediatico la frittata era già fatta. Lotito, invece, da veterano ha risposto con la più classica delle riflessioni: «In un match del genere non esiste un favorito».
La loro vigilia è stata differente: DiBenedetto è giunto nella capitale in extremis mentre il rivale ha passato la serata nella sua dimora a Villa San Sebastiano, udendo in lontananza l’eco delle bombe carta che venivano esplose a piazza San Giovanni nella manifestazione degli indignados poi deflagrata in guerriglia per colpa dei black bloc.
Un pre-derby vissuto per entrambi sul filo della polemica, dovuta alla scoperta che anche il presidente americano, come il suo precedessore, Rosella Sensi, percepirà uno stipendio da 1,1 milioni di euro, biglietti a/r per gli Usa e una macchina con autista, oltre alla scorta.
Appresa la notizia, Lotito non ha perso tempo per rimarcare la sua diversità: «Né io, né gli altri dirigenti della Lazio abbiamo mai percepito emolumenti dal club. Per me i dirigenti non devono prendere stipendi».
Differenti in tutto, dunque, anche nell’idea su come e dove costruire il nuovo stadio, nella gestione dell’Olimpico e conseguentemente nel modo di porsi nei confronti delle istituzioni sportive, Coni in primis. Dopo un primo momento d’incomprensione, DiBenedetto ha saputo ricucire lo strappo con il presidente Petrucci e trovare così un accordo per lo sfruttamento di alcuni locali all’interno dell’Olimpico. Tra il presidente del Coni e Lotito, invece, la querelle (sull’affitto dell’impianto, ndc) è finita a carte bollate, senza contare il deferimento che ha colpito il numero uno biancoceleste che si è concluso non più tardi di un mese fa. Diversi anche nel progetto tecnico portato avanti: la Roma, con gli investimenti sui giovani (José Angel, Pjanic, Bojan, Borini, Lamela, Kjaer) effettuati quest’estate, sembra una squadra costruita per il futuro. E non è un caso che DiBenedetto abbia ricordato più volte che il suo club «sarà tra le grandi società europee fra 5 anni». La Lazio, invece, somiglia ad un istant-team: gli ultimi acquisti, Klose (33 anni) e Cisse (30), ne sono la dimostrazione. La Roma americana, poi, ha scelto un tecnico giovanissimo come Luis Enrique (41 anni), che alle spalle aveva solo un’esperienza con la seconda squadra del Barcellona. Lotito, invece, nonostante parte della piazza non fosse concorde, ha preferito dare fiducia al decano degli allenatori in serie A, Reja (66 anni e 21 panchine alle spalle). Nulla sembra unirli, anche se a pensarci bene una cosa che li accomuna, almeno per una sera, esiste: il desiderio di vincere il derby.
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