(Il Manifesto - H.S.Paragnani) Malgrado le smentite, i conti non tornano e l’annuncio del closing per il 29 luglio, dato unilateralmente dalla banca, viene definito dagli americani una «forzatura irresponsabile» data l’ampia divergenza di vedute emersa negli ultimi tesi negoziati.
rassegna stampa roma
Gli Americani a un passo dalla rottura con Unicredit
(Il Manifesto – H.S.Paragnani) Malgrado le smentite, i conti non tornano e l’annuncio del closing per il 29 luglio, dato unilateralmente dalla banca, viene definito dagli americani una «forzatura irresponsabile» data l’ampia...
Ma cosa è accaduto di così grave da mettere a serio rischio il passaggio di consegne agli imprenditori capitanati da Thomas Richard DiBenedetto? Gli americani si sono ritrovati di fronte una previsione di spesa ben superiore a quella prospettata dalla due diligence. La cosa che li ha lasciati allibiti non è tanto la discrepanza dei dati certificati quanto piuttosto la richiesta ultimativa di Unicredit di pagare secondo le quote della futura proprietà (60% DiBenedetto e soci, 40% la banca) un debito extra che risale alla gestione precedente.
Si parla di più dei 17 milioni di euro smentiti da un comunicato ufficiale e che stanno facendo pensare agli americani di rompere il contratto. C’è da chiedersi a questo punto su che basi sia stato certificato un bilancio poi rivelatosi per lo meno provvisorio nella sua passività e soprattutto per quale motivo per ben tre volte i manager di piazza Cordusio abbiano insistito per non inserire, come richiesto da DiBenedetto, una clausola con la quale ci si potesse rivalere nei confronti della passata gestione.
Alla seconda domanda c’è già una risposta, inquietante: l’incomprensibile scelta di Alemanno, su assist di Palazzo Chigi, di affidare una poltrona di assessore a Rosella Sensi, premiandola per aver portato il club sulla soglia del fallimento. Quali possono essere gli scenari per l’AS Roma? Fiorentino, che ha giocato un ruolo importante nella scelta e nella trattativa con gli americani, ha fatto la voce grossa con i bostoniani, avendo ottenuto da Ghizzoni in persona il via libera per gestire direttamente, in caso estremo, la squadra giallorossa. Forte di un accordo chiuso, blindato e non revocabile, firmato lo scorso 15 aprile, Fiorentino sta tirando la corda. Confida forse nel fatto che l’opinione pubblica, già scettica per indole, grazie all’oscuro borbottio delle mille voci radiofoniche che fomentano l?ansia del tifoso più passionale d’Italia, sposi la tesi secondo la quale gli «Americani non c’avevano una lira». Giochino pericoloso, perché poi Fiorentino dovrebbe spiegare comemai in dodici mesi è andato a scegliere proprio quegli imprenditori per la Roma, garantendo sulla la loro solidità economica e sull’ambizioso piano di rilancio. O magari dovrebbe spiegare comemai Jim Pallotta oMichael Ruane, che in campo finanziario e immobiliare fatturano cifre inverosimili, hanno perso improvvisamente la voglia di investire in Italia, anche perdendoci i soldi della caparra. Domani o martedì Mark Pannes e Sean Barrow, i top manager scelti da DiBenedetto, saranno a Roma per ribadire la voglia del loro referente di comprare la Roma e investire per rilanciare la squadra, ma non a costo di passare per «ricchi scemi». Le conseguenze di una rottura definitiva delle trattative, a tutt’oggi probabile, potrebbero essere nefaste.
La Roma potrebbe correre il destino riservato alla Lazio del dopo Cragnotti, spogliata dei giocatori migliori e affidata ad un gestore «amico degli amici».
I tifosi giallorossi non vedrebbero più il ritorno di Franco Baldini e lo stesso Walter Sabatini potrebbe decidere di dimettersi. La lupa bicefala, anche litigando potrebbe continuare a ruggire.Quella acefala, sicuramente non avrebbe scampo.
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