rassegna stampa roma

Giovani e mentalità: portiamo in Italia il modello Barcellona

(repubblica.it – F.Bocca) Se fosse possibile il Barcellona andrebbe smontato e copiato pezzo per pezzo, qui in Italia. Senza alcuna paura di contaminare una scuola, la nostra, purtroppo vecchia e in crisi.

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(repubblica.it - F.Bocca) Se fosse possibile il Barcellona andrebbe smontato e copiato pezzo per pezzo, qui in Italia. Senza alcuna paura di contaminare una scuola, la nostra, purtroppo vecchia e in crisi.

Non è replicabile certo l’identità stessa del Barcellona, l’ essere simbolo della Catalunya, ma almeno la scuola del calcio giovanile, la concezione del gioco e, sia pure in piccolo, l’organizzazione societaria si potrebbe fare. A Londra Guardiola ha vinto con una squadra di 26,6 anni di età contro i 29 del Manchester Utd, quindi può vincere per molto tempo ancora. La giovane età non è un dato positivo in assoluto – Messi stupirà ancora il mondo anche fra dieci anni, il capitano Puyol è ben navigato e il fenomenale Xavi è oltre i 30 – ma è chiaro che la scuola di giovani talenti è ormai un modello. In Italia le big viaggiano tutte vicino ai 30 – soprattutto il Milan scudetto – e i settori giovanili si sono inariditi.

 

Il Barcellona riserva al settore giovanile anche l’8-9% del fatturato, che nel 2009-2010 è stato di 398 milioni: trenta milioni l’anno per la cantera, tra scouting, strutture moderne, tecnici, maestri e molto altro. Una cifra inconcepile per l’Italia dove la media di investimenti sui settori giovanili è del 5,63% e dove le big – Inter, Milan, Juve e così via – non arrivano a 5-6 milioni l’anno. I giovani, sempre che siano di qualità, possono emergere solo se giocano e da noi questo coraggio è ormai andato perduto. Al suo modello di talenti autoprodotti il Barcellona ha sacrificato star come Ronaldinho, Deco, Eto’o, Ibrahimovic: in Italia probabilmente sarebbe scoppiata la rivoluzione.

Al di là di qualsiasi tattica o concezione del calcio il Barcellona richiama due grandi modelli: il calcio totale dell’Ajax di Cruyff – che del nuovo Barcellona è stato poi il moderno creatore – e il Milan di Sacchi col suo gioco-orchestra. Nessuna grande squadra in Italia gioca come Guardiola utilizzando il 4-3-3, che schematicamente vuol dire anche poco. Dal calcio totale il Barcellona ha preso il concetto che tutti devono partecipare al gioco d’attacco e da Sacchi la fedeltà assoluta all’organizzazione in campo. In Italia, per quanto ci si sforzi, il calcio è geneticamente più difensivo e senza alcuna concezione dello spettacolo dai tempi di Sacchi.

Del “possesso palla” – che nel Barcellona arriva anche al 70% – in Italia non interessa nulla a nessuno, ma è la chiave di tutto. In Italia già da anni – dal Milan all’Inter, dalla Juve di due anni fa alla Roma, fino alla Lazio, al Palermo e al Napoli – si usano squadre con trequartisti e fantasisti che poi affidano all’intuito personale l’ultima fase. Per quanto possa sembrare assurdo la grandezza di Messi è anche nel gioco senza palla, nel sapere perfettamente dove si creerà il buco dove poter suonare l’assolo.

Il progetto della Roma americana concepito da Baldini e Sabatini di andare a cogliere con Luis Enrique, allenatore del Barcellona B, da dove proviene anche Guardiola, il seme di questo nuovo calcio sarà probabilmente una scommessa ma anche una bella intuizione. Finalmente coraggiosa.