rassegna stampa roma

Giggs, Villas Boas e la teoria della relatività

(Il Romanista – P.Marcacci) – E’ stata la settimana in cui l’anagrafe del calcio europeo ha toccato il Capo Nord della sua longevità, per poi rifugiarsi agli antipodi, in un’antartide di incredibile precocità e predestinazione.

Redazione

(Il Romanista - P.Marcacci) - E’ stata la settimana in cui l’anagrafe del calcio europeo ha toccato il Capo Nord della sua longevità, per poi rifugiarsi agli antipodi, in un’antartide di incredibile precocità e predestinazione.

Tutti gli scombussolamenti che sta subendo il magnetismo terrestre sono nulla, infatti, se paragonati agli scossoni dell’asse calcistico: neppure i Maya potevano aver contemplato che, nel bel mezzo o qualcosa più in là della stagione 2010-2011 ci saremmo ritrovati a stropicciarci gli occhi per un paradosso dell’età, una teoria della relatività applicata al tempo che corre sulla linea immaginaria che collega Manchester a Oporto. Mi piace dilatare i preamboli, quando le vicende e i loro protagonisti lo meritano: classe ’73, Ryan Giggs mercoledi sera è stato, ancora una volta, uno dei mattatori assoluti della campagna di conquista di Sir Alex Ferguson sul terreno di Stamford Bridge, creando peraltro lo spunto decisivo per il goal di Rooney, sempre da quel solco, profondo ormai la bellezza di 862 partite, su una fascia sinistra lungo la quale sono trascorse perlomeno due generazioni di marcatori, senza che nessuno riuscisse mai a prenderlo. Nella stessa settimana, tutta Europa ha celebrato la vittoria e i primati di André Villas Boas, classe ’77, allenatore di un Porto che ha già fatto sbiadire, in patria, il ricordo di quello di Mourinho. Classe ’77 vuol dire che a metà degli anni novanta Villas Boas era minorenne e che, sotto la guida del pigmalione Bobby Robson, riuscì a superare l’esame Uefa C da diciassettenne, per poi conseguire il patentino B nel 1996 e quello A nel 2003, a ventisei anni; nel mentre, Giggs che ne aveva quattro di più aveva già vinto e rivinto tutto, aveva già scritto con inchiostro indelebile la storia della moderna Champions League e chissà dov’era Villas Boas quella sera di maggio del 1999, quando nella finale di Barcellona i tre minuti dello United annichilirono trentamila bavaresi che già inneggiavano alla Coppa. Tanto Mourinho, poi, nella carriera di Villas Boas, assistente tecnico fidato e compilatore di minuziose schede sull’avversario di turno, fino a metà dell’avventura interista di Mou; nel 2009, a 32 anni, l’offerta dell’Acadèmica, che dopo sette turni di campionato aveva esonerato Rogerio Goncalves: prende la squadra dal fondo della classifica e la lascia all’undicesimo posto, con il sovrappiù della semifinale della Coppa del Portogallo, eliminato proprio dal porto, pensa te. Il 30 giugno 2010 l’ingaggio da parte dei Dragoes; il resto è storia recentissima di allori e record, con la ciliegiona sulla torta rappresentata dall’1-2 in casa del Benfica, con tanto di scudetto matematico e scorno definitivo per i rivali di sempre. Il tutto mentre Ryan Giggs, stesso fisico filiforme e stesso sguardo scuro affilato, quasi troppo mediterraneo per un gallese, continua a correre e a dribblare, nella missione ormai compiuta di dimostrare che il cross non ha età. 862 partite e trentaquattro anni sono numeri che non riesci a mescolare: sarebbero inverosimili anche se invertiti: Villas Boas sarebbe comunque troppo giovane per vincere quello che ha già vinto, visto che il "guardiolismo" resta solo un orrendo neologismo, mentre la carriera di Giggs è comunque un qualcosa di "marziano", da qualunque prospettiva la si consideri. Forse qualcosa di vero c’è, nelle teorie dei Maya. Adesso, però, dopo questo parallelo tra due storie calcistiche vere ma per nulla verosimili, soprattutto se giudicate alla luce della nostra italica mentalità, dovremmo ricalarci subito nelle atmosfere del campionato italiano, dove all’inizio di aprile cominciano i sospetti, puntualmente avallati dai risultati, sui pareggi annunciati e dove giocatori che non hanno poi vinto così tanto denunciano mancanza di stimoli ed entusiasmo. Io non me la sento, non subito almeno