(Il Romanista - FOTOGRAMMA di P.Marcacci) La palla lenta lenta che rantola nell’angolino ti fa sempre pensare, più che alla tua gioia, all’agonia delle speranze altrui, delle altrui velleità, degli sfottò che avevano in canna.
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Quella palla lenta lenta…
(Il Romanista – FOTOGRAMMA di P.Marcacci) La palla lenta lenta che rantola nell’angolino ti fa sempre pensare, più che alla tua gioia, all’agonia delle speranze altrui, delle altrui velleità, degli sfottò che avevano in canna.
La palla lenta lenta che quasi stenta a contare i suoi giri, come le bocciate precise di certi pensionati che tentano di andare a pallino, ha il sapore di un bacio alla francese ma di quelli più timidi, da prima volta. E tutto nasce da qualcosa di francese, in effetti, proprio mentre si discute su quanto poco, fino a quel momento, abbia inciso Menez.
Uno strappo secco, fra birilli color maiolica, con l’ultimo cunicolo precluso da una tibia: implosione di una delle rare incursioni? No, nuovo scorcio di campo che, rimpallato, si schiude dalla parte della Tevere: come un segugio, Simplico gli è andato appresso traccheggiando, come quando l’azione è già stata fermata e i giocatori procedono per inerzia; invece è solo la flemma di chi è riuscito a leggere con un millesimo di vantaggio quello che sarebbe successo.
Allora poi basta dargli un primo bacio, a quella palla, con un’intensità che non è timore adolescenziale ma voglia di godersi ogni secondo, ogni giro di diametro della sfera che sembra quasi procedere in salita, per quanto è piano, quanto è fermo l’attimo, quanto è fisso lo sguardo della Sud, sospeso il respiro. Quel diagonale è un bradipo che s’arrampica nella foresta pluviale, un koala di gioia che cresce per quanto è lenta, sospesa, inarrivabile nella sua lentezza; come intontita dall’ennesimo calcione di Radu, la palla claudicante solo all’ultimo ti rendi conto che lo sta facendo apposta, come la piuma di Forrest Gump (o di Olimpya?) prima di planare accanto alla sua panchina. Quella di Forrest e quella di Reja.
C’avrà messo quattro secondi, lo stesso numero che la mano di Daniele regala alla Curva, maiuscola come l’incitamento che va al di là di ciò che mostra la squadra, maiuscola come il ricordo di Flora e Dino, come se stessa, la Sud. Una palla può diventare quindi un apostrofo giallorosso tra le parole due e uno, tra gli eliminati e chi prosegue, tra esultanza e disperazione, tra Simplicio che rotea la caviglia euclidea e Berni che si volta, scusate l’omaggio a Disney, a contemplare l’angolino come se cercasse la sua Bianca. Goal, ma quanto c’è voluto!
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