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Frascatore: «Roma, voglio crescere per te»

(Il Romanista – V.Meta) – Dancin’, shoutin, flyin’ to the moon. Chissà se quando si è fatto tatuare sul braccio sinistro due versi della sua canzione preferita, Paolo Frascatore avrebbe mai immaginato di ritrovarsi una notte...

Redazione

(Il Romanista - V.Meta) - Dancin’, shoutin, flyin’ to the moon. Chissà se quando si è fatto tatuare sul braccio sinistro due versi della sua canzione preferita, Paolo Frascatore avrebbe mai immaginato di ritrovarsi una notte proprio così, solo con il prato al posto della sabbia e il cielo di Pistoia che stava a guardare la Roma campione d’Italia.

Ballando, gridando, volando verso la luna. Lo sguardo che aveva quella notte diceva più di qualsiasi discorso, a metà fra commozione e liberazione mentre passava da un abbraccio all’altro. Da allora sono passate tre settimane e il terzino della Primavera scudettata è pronto per nuovi orizzonti: mentre attende di sapere dove verrà mandato a fare esperienza in prestito, ha superato (e bene) gli scritti degli esami di Maturità e in questi giorni si prepara per gli orali, che un calendario impietoso ha fissato l’11 luglio. «Ma forse me ne vado lo stesso qualche giorno al mare - dice Paolo -. Qua a Roma mi annoio e rischio di non farmi vacanze per niente, tra poco comincia il ritiro... ovunque lo farò».

Esauriti i festeggiamenti scudetto?

Io sono andato in vacanza in Spagna e alcuni compagni li ho rivisti in classe per gli esami. L’altra sera sono andato in discoteca con i soliti, Montini, Viviani, Antei che ci sto sempre insieme: ci siamo divertiti, abbiamo festeggiato un po’, ma neanche poi troppo.

Dalla sera di Pistoia sono passate tre settimane: qual è la prima cosa che ti viene in mente se ci ripensi?

La prima forse è il momento in cui Mattia ha segnato il gol del 3-2 e poi tutti i festeggiamenti, anche se il ricordo migliore rimane l’abbraccio con il mister. In fondo tutta la stagione è stata così, abbiamo spesso vinto all’ultimo minuto, ci sono stati sempre tanti problemi e pure con il Varese s’era messa male. È più bello vincere così.

Che atmosfera c’era in ritiro?

A Montecatini i giorni sono stati tanti e lunghi. Io stavo sempre in terapia (ride, ndr), i fisioterapisti hanno seguito tutti ma quello che c’aveva più cose da fare fra caviglia e ginocchio ero io. Mi ricordo che la mattina della finale sono andato a fare shopping per stemperare la tensione, pensa un po’.

L’ansia?

Più alla vigilia della prima partita, una volta superata quella, capisci come funzionano appuntamenti del genere e sai anche come affrontarli.

Dopo la semifinale è scattato qualcosa?

Ma secondo me anche già dopo i quarti con il Milan. Personalmente, lì ho capito che il problema alla caviglia non mi avrebbe condizionato, che potevo stare in campo bene. Quando abbiamo vinto contro una grande squadra come il Genoa, abbiamo capito che potevamo vincere con tutti.

Dopo l’infortunio in Under 19 hai temuto di doverle guardare dalla tribuna le finali?

Mai. Nemmeno per un momento ho pensato di non giocare, anche perché con la caviglia ho avuto problemi anche in passato e sapevo come gestirli. Ho fatto tutto quello che dovevo, ho lavorato tanto e forse sì, il mio è stato un recupero record, ma ero sicuro di giocare le finali.

Il momento più difficile della stagione?

Sicuramente il 4-0 con la Lazio nel derby d’andata e poi anche la sconfitta con la Fiorentina. Quelle sono due sconfitte che ci hanno fatto male male, però ne siamo venuti fuori. Anzi, dopo ci siamo ritrovati ancora più forti.

Questo è stato il tuo secondo scudetto.

Già. Rispetto al primo, che ho vinto quando avevo quindici anni, hai una maggiore consapevolezza di quello che hai fatto, a quindici anni te ne rendi conto fino a un certo punto e poi questo era un palcoscenico molto più importante, il campionato Primavera ha una visibilità maggiore rispetto ai Giovanissimi. Certo nel 2007 l’ho vissuto più da protagonista, me lo ricordo per i gol che ho segnato. Ma questo è più importante.

Scudetto e maturità: sei diventato grande?

Eh, diciamo che quest’estate sono successe tante cose importanti, dentro e fuori dal campo.

E adesso?

Adesso penso alla Maturità e poi... poi credo che andrò a giocare in prestito da qualche parte, al momento non so ancora niente di preciso. Fare il ritiro con la Roma sarebbe una grande esperienza, ma non so se avrò questa possibilità. Però so che ovunque andrò, dovrò tenere duro. Ho sentito qualche compagno che è andato via l’anno scorso e che in questa stagione ha giocato poco e niente e ha un po’ sofferto il passaggio nei grandi. Io però devo andare lì con la mentalità giusta e far vedere le mie qualità.

Più spaventato o emozionato?

Ora che mi rendo conto che è tutto finito, un po’ me sta a prende a male... no, un po’ di paura c’è, ma d’altra parte so quello che posso fare. Questa per me sarà anche un po’ una sfida.

Tu sei alla Roma da tanto, pensi che quello passato sia stato il tuo anno decisivo?

Secondo me l’anno scorso lo è stato ancora di più. Quando sono arrivato dal Tor di Quinto ho fatto due anni molto bene, il primo devastante nei Giovanissimi, venivo dai dilettanti e ho vinto subito lo scudetto da protagonista. Il secondo sotto età negli Allievi è andato bene, ma tutto sommato è stata una stagione normale. Al terzo con gli Allievi in età, ho passato cinque mesi fuori per un problema alla caviglia che all’inizio non si sapeva cosa fosse, mi sono operato ma sono arrivato in Primavera che dovevo dimostrare tutto. E invece partendo da dietro sono riuscito a ritagliarmi un posto, ho sfruttato la possibilità che mi è stata data e penso sia stato fondamentale per tutto quello che è venuto dopo.

Quest’anno hai ritrovato anche la Nazionale.

Penso che una chance me la meritassi. Avevo perso l’azzurro per via dell’infortunio alla caviglia tre anni fa e da allora non mi era più stata data la possibilità di tornare, all’inizio c’ero stato un po’ male, poi però non c’avevo pensato più e invece sono riuscito a raccogliere un po’ di convocazioni. Quello che mi dispiace è aver saltato le partite della fase Elite dell’Europeo per l’infortunio rimediato in amichevole: è l’unica cosa che mi manca quest’anno, però è andata così, alla fine gli infortuni ci possono stare.

L’avversario più difficile che hai incontrato quest’anno?

Acosty della Fiorentina correva... per il modo di giocare di tutta la squadra, ci ha creato qualche difficoltà.

L’Inter?

A Milano dalla mia parte c’era Lussardi, al ritorno Knasmuller, però certo quando veniva dalla parte mia Alibec era bello pesante...

E poi ci sarebbe quel gol al Franchi.

Me lo ricordo come fosse ieri il momento in cui ho segnato, sullo stadio è calato il gelo... È stato bellissimo, poi sotto il settore dei nostri tifosi. Anche se al ritorno è andata male, resta un ricordo bello. Queste sono cose che rimangono.

Il primo messaggio che hai ricevuto dopo lo scudetto?

Oddio non mi ricordo... sicuramente papà. Quando ho guardato il telefono c’erano già venti chiamate senza risposta, tutte di mio padre.

Mai pensato di lasciare il calcio?

Più che altro ho avuto paura di non poter giocare più. È successo quando mi sono fatto male alla caviglia a sedici anni: non riuscivano a trovare una soluzione, non si sapeva cosa fosse, ma io avevo tanto dolore. Quando stai così male magari pensi di non risucire a rientrare, poi però mi sono operato, ho fatto la riabilitazione e lavorato tanto, solo così si riesce a recuperare. Ed eccomi qua.

Del passaggio di Stramaccioni all’Inter cosa pensi?

Per la sua crescita professionale può solo essere un bene: gli auguro tutto il meglio, come calciatore mi ha formato tantissimo, tecnicamente, tatticamente e anche mentalmente. Sono stato con lui tre anni, ho dei grandi ricordi e gli auguro di vincere anche all’Inter. Certo per per la Roma mi dispiace, quando si perdono allenatori bravi è sempre un peccato e lui non è bravo, è bravissimo. A me ha dato davvero tantissimo e lo ringrazio.

Tu in squadra sei l’esperto di musica. Canzone preferita?

Sky and sand (di Paul Kalkbrenner, ndr). Ce l’ho pure tatuata sul braccio. Colonna sonora dello scudetto? Mah, forse Lou Reed. Stavo in camera con Montini e spesso lo sentivamo la sera prima delle partite.

Ascolti qualcosa di particolare prima di giocare?

Principalmente pezzi house, ma non sempre lo stesso, non sono così scaramantico. Nella mia playlist c’è tanto rock, anche italiano. Non mi piace la musica che passa per radio. La mia cultura musicale l’ho costruita negli anni, io sono uno sempre con l’ipod in mano.

Quando senti dei ragazzi europei che scendono in piazza per chiedere un futuro, cosa pensi?

Penso che questo mondo non è giusto e che essere giovani oggi non è facile. Ho tanti amici, anche più grandi di me, che hanno studiato tanto e ora si ritrovano a non sapere cosa fare. Io se non avessi fatto il calciatore - e ancora non so se effettivamente riuscirò a farlo - probabilmente sarei andato all’università, ma all’estero perché qua in Italia non la vedo bene per niente.

Ma da piccolo che volevi fare?

Il calciatore! Ho sempre giocato, io.