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Esposito:«Il Lecce a Roma è come un sogno»

(Corriere dello Sport – F.Fanelli) Se di cognome fai Esposito è un po’ come Rossi o Bianchi, hai bisogno di distinguerti in qualche modo, di fare qualcosa per cui la tua strada la tracci tu ed è diversa da tutte le altre.

Redazione

(Corriere dello Sport - F.Fanelli) Se di cognome fai Esposito è un po’ come Rossi o Bianchi, hai bisogno di distinguerti in qualche modo, di fare qualcosa per cui la tua strada la tracci tu ed è diversa da tutte le altre.

E Andrea Esposito, difensore del Lecce, è uno davvero così. Sembra tranquillo, persino “bamboccione”, vive ancora a Galatina con mamma Patrizia e la sorella Laura che è più piccola di lui, ma ha in testa idee chiare. Sa quel che vuole e come ottenerlo. Non sta ai compromessi e, se anche è successo in passato, lui volta pagina e guarda avanti. Vuole prendersi il mondo, riprendersi il suo posto al sole, andare sul palcoscenico e far vedere quanto vale.

Perché lui è quello che con la “mitica” Primavera del Lecce (nel 2003 e nel 2004) ha vinto due titoli nazionali. Perché Delio Rossi all’epoca si è fidato di lui e non aveva ancora 18 anni (lui è di maggio 1986) quando ha debuttato in serie A in un Lecce-Lazio, era il 25 gennaio 2004. Sognava di essere come Nesta, il difensore che tutto il mondo vorrebbe essere. Perché lui ha cominciato a Lecce che è la sua casa, poi è andato via alla Samb e ritorno, al Genoa, a Livorno e Bologna e ora di nuovo Lecce. Con un progetto. Esposito che stagione è per lei e che campionato sarà per il suo Lecce? «Adesso va bene, abbastanza bene. L’inizio è stato un po’ sfortunato per vari motivi, ma ora siamo sulla buona strada e non ci allontaneremo più. Lo dico e lo penso per il Lecce, ma anche per me. Sono tornato quello di prima, voglio dimostrare di essere ancora io. L’infortunio è dimenticato, sono pronto e voglio esserci».

Ogni anno si ricomincia, la sua occasione di oggi cos’è? «A Genova purtroppo ho avuto qualche problema, ma guardiamo avanti. Ho solo 25 anni e tutto da chiedere alla vita. Il calcio è la mia passione, ci sono cresciuto dentro e ora voglio recuperare quello che ho perso per strada».

Si spiega così il suo ritorno a Lecce. «Sono qua per dimostrare il mio valore, voglio essere l’orgoglio di questa squadra. C’è feeling, sento che può essere l’anno giusto. Per me e per il Lecce».

Roma-Lecce di domani sera non è una semplice partita. Lo dice la storia, lo dicono le scelte recenti delle due società e lo diranno i giocatori in campo. «Anche io la sento molto come gara. Sarà uno spettacolo giocare all’Olimpico di sera. E’ uno stadio fantastico e la Roma è una squadra di campioni. Non sta a me scoprirli. Sarà una partita difficilissima. Luis Enrique ha portato idee nuove, un calcio più offensivo che costringe i giocatori a scoprirsi e noi dovremo approfittarne... ».

Se guardiamo i numeri del Lecce, finora in trasferta vi siete fatti rispettare molto più che in casa... «E’ vero, i numeri dicono questo. Lo sappiamo. Abbiamo anche provato a dare una spiegazione. E’ una questione di testa. In casa vogliamo subito decidere la partita e tendiamo a sbilanciarci. Mentre fuori l’approccio è diverso, più attento e alla fine riusciamo a emergere. Forse c’è meno tensione, riusciamo a gestire meglio le situazioni. E’ strano ma il vero Lecce finora ha giocato sempre in trasferta».

Roma-Lecce dopo la vittoria a Cesena. «Sì, è più di una partita anche per questo, ma non dobbiamo pensarci. Noi abbiamo bisogno di confermare il buon momento. A Cesena abbiamo vinto e convinto, la nostra autostima ha fatto un bel balzo, ecco dobbiamo sfruttare quell’effetto. Ci servono punti per la classifica».

Perché il Lecce si salverà. Assolutamente sì. Abbiamo tutte le carte in regola. Dobbiamo solo sistemare un po’ gli equilibri, vincere qualche partita in casa e farci rispettare fuori. E io so di poter dare il mio contributo. Il segreto sarà imparare a gestire la “sofferenza”, non dobbiamo mai andare in debito di ossigeno e idee altrimenti paghiamo sul campo».

Quanto conta Di Francesco per il Lecce e quanto le novità che ha portato lasceranno il segno nella vostra stagione. «E’ bravissimo. Mi vengono in mente solo idee positive: scrupoloso, pignolo, cura i dettagli e pensa a tutto. Il suo metodo può farci andare lontano. Eppoi - lui non vuole sentirselo dire - è ancora molto giocatore».

L’allenatore«Delio Rossi mi ha fatto esordire a 17 anni e gli devo molto. Beretta mi ha dato certezze, ha creduto in me, c’erano altri prima, ma lui si è fidato, ha visto che io davo il massimo e mi ha lanciato. Ogni allenatore ha un suo ruolo. Non sono andato d’accordo con tutti, ma questo è un altro discorso. Acqua passata».

Il calcio di chi è: dei giovani o degli esperti? «Io credo che il domani del calcio sia puntare sui giovani, allenatori giovani, giocatori giovani. Certo il top sarebbe trovare un mix perfetto tra esperienza e conoscenza, tra cose diciamo vecchie e metodi nuovi. Però è quella la strada giusta. Il mondo è evoluzione e il calcio non può sfuggire a questa regola».

Ha un amico nel calcio. «A Bologna eravamo un bel gruppo. Sono rimasto legato ad alcuni di loro anche se le strade si sono divise».

Esposito cosa sogna. «La speranza fa parte di tutti noi. Punto al massimo e non mi nascondo. Mi era capitato ma mi è sfuggito. Ora penso al Lecce, solo al Lecce, il futuro si vedrà»