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Erik, il bimbo dal piede magico

(Il Messaggero – A.Angeloni) «Sono cosciente che il mio modo di giocare irrita gli avversari.

Redazione

(Il Messaggero - A.Angeloni) «Sono cosciente che il mio modo di giocare irrita gli avversari.

Loro pensano che io li prenda in giro, ma è solo il mio modo di essere», firmato Erik Manuel Lamela, argentino, nato il 4 marzo del 1992 a Carapachay, una località del dipartimento Vicente Lopez che fa parte della provincia di Buenos Aires. Ha il passaporto spagnolo. Giovane, un pupo, quindi gli va perdonato un po’ tutto adesso, stecche in campo e paroloni strabilianti. E’ solo un ragazzo che ha appena finito il liceo e che ora deve scegliere l’università, ma del calcio.

La scuola, quella con i banchi e i libri, non fa per lui. Diciannove anni e un mondo nelle mani, più che altro nel piede.Il sinistro, con il quale - assicurano - fa quel che vuole. Quello usa divinamente, con quello ha incantato operatori di mercato e presidenti dei più importanti club europei, con il sinistro disegna calcio.

Gli avversari vengono irritati dalle sue giocate, lui non c’entra niente, non lo fa con cattiveria. A Roma per questo diventerebbe un idolo in un battito di ciglia. In Argentina le sua magìe hanno rubato l’occhio di tanti osservatori, basta andare su youtube e ruberà pure il nostro. Per tutti, un predestinato. Appena dodicenne, il River Plate lo porta in Spagna per un torneo di categoria, ci sono Siviglia, Real Madrid e Barcellona. Lamela spopola e il Barça prova a fare il colpaccio, pensando di aver individuato il secondo Messi.

Mancino come Leo, gracilino come Leo e come per Leo la proposta è indecente: El Coco, così viene soprannominato Erik (cioè il cocco della squadra, della famiglia, di tutti) riceve come proposta un contratto da 120 mila euro a stagione, uno sponsor di livello, la Nike, al fianco, le scuole migliori per lui e per i suoi fratelli Alex e Brian, un lavoro in Spagna per i genitori, per il papà Josè (che faceva il calciatore e che ora fa il papà di Erik) e per la mamma Miriam. Tutto scontato? No.

Il River convince la famiglia Lamela a starsene in Argentina, anche il piccolo Erik è poco stimolato, più che altro spaventato dall’idea di cambiare mondo e abitudini.

Dunque, retromarcia. El Coco resta ai Millonarios, con i quali indosserà anche la maglia numero 10. Gioca trequartista, ora sa fare pure l’esterno. Strano il suo destino, si lega a doppio filo al River e a sorpresa dichiara candidamente di essere (o essere stato) simpatizzante del Boca, scatenando l’ira dei suoi sostenitori. Un bel caratterino, il bimbo. Lo stesso che lo aiuta quando, nel 2007, subisce un bruttissimo infortunio: nella gara con il Club de Gimnasia y Esgrima La Plata si scontra con Juan Cruz Sosa fratturandosi la tibia e rompendosi i legamenti.

Sta fuori 5 mesi, la gamba sinistra è segnata da una lunghissima cicatrice. Lo stesso caratterino che lo porta a mollare un cazzottone a un avversario, Rodriguez, nel match d’andata della sfida salvezza contro il Belgrano, gara persa (2-0) quest’anno dal River, che a fine campionato retrocederà. Si definisce un pigro a cui «non piace studiare». E va bene, pazienza. Nella vita conteranno pure altri valori, no? Erik ha studiato prevalentemente calcio. Talento puro, leggiadro, un sinistro da favola, assicurano in tanti. Il problema sarà l’adattabilità al calcio italiano. I talenti si fanno e si bruciano in un attimo. Lui nel tempo ha cambiato modo di giocare, è cresciuto fisicamente. Nella prima fase dell’adolescenza è molto gracile, ora più robusto, senza perdere mai quella magìa che sprigiona con quel sinistro, leggero e potente. La rabona, la sua specialità: la usa e ne abusa. Il dribbling, un’ossessione.

Poi, colpi di tacco, carezze con la suola dello scarpino. Segna poco, nel River 37 presenze e quattro sole reti: 2 contro il Lanus, uno all’Huracan e uno al Colon. Una sola presenza con la Seleccion. «Dimostrerò che ciò che si dice sul mio conto non è bugia». Messi è il suo punto di riferimento. «E’ il mio eroe, ma è difficile diventare come lui», dice Lamela. Messi il riferimento, ma non per i tatuaggi: Leo non ne ha, Erik ne ha tre, una stella per ogni spalla e un disegno a fascia sul braccio sinistro. Cristiano Ronaldo è l’altro suo modello, dal quale forse ha preso questa ossessione nel voler irridere gli avversari. E quindi di far impazzire i tifosi.