(Corriere dello Sport - F.Nobili Massuero) - Dopo circa tre lustri consumati in regime di splendida ma rigida autarchia, i vertici del football nazionale avevano disposto, nel 1980, di riaprire, seppure con cautela e con giudizio, le virtuali frontiere sportive, per consentire l’ingaggio di atleti tesserati presso federazioni, di sapore anche esotico, straniere.
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Ecco Falcao: colpi geniali e personalità E’ una Roma da scudetto
(Corriere dello Sport – F.Nobili Massuero) – Dopo circa tre lustri consumati in regime di splendida ma rigida autarchia, i vertici del football nazionale avevano disposto, nel 1980, di riaprire, seppure con cautela e con giudizio, le...
Quindi, era stato accordato alle sedici regine deputate a sfidarsi nel massimo torneo l’aggio di reclutare, spaziando per il mondo, gli specialistici servigi di uno solo - e non oltre, in forma tassativa - fra le miriadi di foresti, concupiti soldati mercenari di ventura. La Roma, che intendeva, sotto la gestione lungimirante di Viola appena invalsa, elevarsi nell’empireo celeste supremo fra le stelle, aveva rivolto dapprima le attenzioni, proclamate, spasmodiche ed intense, verso l’estro, funambolico, brioso e scintillante, di Arthur Antunes Coimbra, in arte Zico. L’equilibrato ingegnere, conteggiati i limitati denari racchiusi in cassaforte, declinava peraltro ben presto il cospicuo investimento, abbandonando le tracce, inebrianti ma insieme alquanto esose, del “Gallego”. Si risolveva infine ad assoldare, a cifre assai più contenute, sul mercato, un brasiliano regista non poi così famoso, segnalato - si narra - da Pelè, che lo lodava quale faro geniale del gioco, nonché autentico fulcro e uomo squadra. Falcao fu accolto, nel cuore dell’agosto rovente, a Fiumicino, da cinquemila legionari militanti fedeli della Lupa, che ripristinarono entusiasti per lui, seduta stante, l’originario istituto monarchico dell’Urbe, da venticinque secoli soppresso ed aborrito. Succedendo al filo etrusco Tarquinio, ossia il Superbo, fu incoronato, dal popolo plaudente ed entusiasta, quale fulgido, ottavo re di Roma. Riccioli d’oro ondeggianti lievi al vento, orchestrava principesco e sublime la squadra a tutto campo, profondendo fosforo in dosi massicce a piene mani e denotando portamento elegante e imperioso e classe innata. Così, venne omaggiato, dalla gente adorante, pure del sommo attributo di “Divino”. Archiviata con ovvia delusione la disfatta patita innanzi al compagno “carioca” Conti a Barcellona, rientrava altero e motivato per guidare i giallorossi al secondo, straordinario scudetto della storia. Si avvaleva, per meglio tutelare i suoi interessi, dell’opera, spesso assai logorante e invisa a Viola, di un manager dal nome quanto meno illustre e altisonante: Cristoforo Colombo, scopritore di ignoti e impensabili mondi, territori e confini contrattuali, ne aveva fatto in Italia, di gran lunga, il calciatore fra tutti quanti più ricco e più pagato. La favola finì poi sul crinale di un rigore, decisivo e famoso, mai tirato. Per ragioni non chiare, contro i rossi del Liverpool, Paulo Roberto espresse, sotto la “Sud” implorante, il gran rifiuto.
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