(Corriere dello Sport - F.N.Massuero) - Pungolato oltremodo da un ambiente nei suoi confronti allora non proprio bendisposto e accomodante, causa prima i successi, recenti quanto certo brucianti, dei cugini, il presidente Sensi si risolveva a svuotare i forzieri capienti della Lupa onde allestire una squadra da autentico primato.
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E Sensi soffiò Batistuta a tutti: mossa decisiva per la conquista dello scudetto
(Corriere dello Sport – F.N.Massuero) – Pungolato oltremodo da un ambiente nei suoi confronti allora non proprio bendisposto e accomodante, causa prima i successi, recenti quanto certo brucianti, dei cugini, il presidente Sensi si...
Innervatane ovunque la struttura di linfa fresca, vitale e cristallina, il pressato, ardente patron infine perseguiva, per scardinare catenacci serrati e violare difese coriacee e ben munite, l’obiettivo di reclutare gli indispensabili servigi di un supercannoniere illustre, collaudato e ardimentoso. Il sommo dirigente della Roma lanciava fiero, sudando forse freddo al contempo, sul mercato, un’offerta da far vibrare assai forte vene e polsi: sgretolando, a colpi di miliardi di lire sonanti ancora in corso, la concorrenza sparuta, confusa e intimidita, concludeva l’ingaggio, davvero strabiliante, del leggendario bomber, di passaporto argentino, “ Re Leone”. Batistuta venne così estirpato, a inizio di millennio, dal decennale amore, straripante, inebriante e convulso, di Firenze. Bardato in viola, conduceva, generoso, caparbio ed irruente, i compagni al felice arrembaggio sportivo e alla ventura. Perforava i portieri nemici con cadenze incalzanti e ritmi francamente impressionanti: mieteva reti a raffica, sicché ritenne di celebrare le marcature, frequenti e decisive, realizzate mimando ai tifosi festanti il gesto, simbolico e nel felice contesto peraltro entusiasmante, di sventagliate, gioiose ed innocenti, su in alto verso il cielo, di mitraglia. Adorato dal passionale, ma insieme selettivo, esigente pubblico del Giglio, fu da questo omaggiato perfino di una statua, alle sue memorabili imprese di calcio dedicata, campeggiante, imponente e gagliarda, presso la curva più calda, all’interno, già comunque rovente, dello stadio. Approdato alla corte gestita con pragmatico acume da Capello, il trentunenne eroe di Reconquista riprendeva a spedire palloni nel sacco a profusione, sospingendo i giallorossi colleghi sulla vetta. Segnava tanto e sparava in aria a salve, innescando la miccia del gaudio e del tripudio popolari. L’arma virtuale si inceppò in una notte autunnale all’Olimpico, contro la Fiorentina: realizzato in extremis, con splendida prodezza, il punto dell’incontro decisivo, Batigol, gettato via il fucile, tentava di celare invano al mondo impertinente lo sgorgare di prorompenti, copiosi lucciconi. Smaltite le umane, nobili scorie del viola sentimento, il prode Gabriel Omar riprese a tempestare, con spunti vittoriosi e devastanti, le barriere opposte, perlopiù vanamente, dai rivali. Conseguì venti centri, tagliando poi raggiante, con indosso la maglia diciotto della Roma, il nastro del successo tricolore.
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