(Il Romanista-C.Zucchelli) Entrano nello stadio cantando cori contro la Lazio, escono – con tre punti in più – facendo lo stesso. Il derby è dopodomani e si sente. Eccome. Anche a 350 chilometri di distanza.
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E alla fine tutti sotto la Curva
(Il Romanista-C.Zucchelli) Entrano nello stadio cantando cori contro la Lazio, escono – con tre punti in più – facendo lo stesso. Il derby è dopodomani e si sente. Eccome. Anche a 350 chilometri di distanza.
Dove il sole lascia il posto alla nebbia e il freddo la fa da padrone. Insieme a qualche insulto dei tifosi locali e a una partita difficile da vincere.
I tifosi della Roma al Manuzzi si comportano da autentici protagonisti: fin dalla mattina invadono le vie della città, quando pranzano colorano i tavoli con le loro bandiere e le loro battute, quando entrano nello stadio cantano e ricantano. E sovrastano i padroni di casa, che pure sono oltre 15mila. Ma, in certi momenti, è come se scomparissero. Succede, per la prima volta, quando la Roma entra in campo per il riscaldamento. Sono le 14.20, la squadra era arrivata allo stadio poco meno di un’ora prima. Entra Riise, poi Burdisso, via via tutti gli altri. Lui, Francesco Totti, è il penultimo. Viene accolto, nel sottopassaggio, dai flash e dai telefonini degli inservienti dello stadio (ma non era famoso solo a Roma?) poi i suoi tifosi gli riservano un’ovazione.
I quattromila giallorossi, nella parte alta dello spazio loro riservato (la Curva Nord) espongono lo striscione dell’Utr “Unico grande amore” e poi, accanto “Capitano, Roma è fiera di te”: quando lo vedono entrare cantano “Un capitano c’è solo un Capitano” e lui ringrazia battendo le mani. D’altronde, che i tifosi gli avrebbero riversato tutto il loro amore si era capito già dalle prime luci dell’alba. Bar della stazione metro Anagnina: tre ragazzi fanno colazione, cappuccino e cornetto. Si leggono i giornali, si commenta l’esclusione di Borriello: «A me dispiace – fa uno – ma per gioca’ bene Francesco deve essere prima punta». A Cesena stessa storia: in centro i negozi sono chiusi, chi arriva prima si rifugia nei bar o nelle paninerie. Sciarpe giallorosse in giro? Tantissime. Al ristorante situazione identica: i tifosi mangiano e parlano di Totti. Quasi tutti si aspettano un suo gol. Che non arriva però, ma fa niente, almeno per stavolta. Conta solo il risultato, come si ribadisce ogni volta che si canta "Dammi i tre punti".
Anche i tifosi del Cesena vogliono vincere e preparano una coreografia con su scritto “Cesena, orgoglio della Romagna”. I romanisti non gradiscono e cantano “Nun se pò guarda’”. A quel punto, tocca a loro: la parte alta del settore ospiti prepara una coreografia con bandierine gialle e rosse, sventolate all’ingresso in campo delle squadre. Sottofondo musicale: "maciniamo chilometri". La partita inizia: lo spettacolo è poco, si soffre. I tifosi capiscono che questi tre punti potrebbero essere fondamentali e iniziano a cantare sempre più forte. Nel secondo tempo il copione è lo stesso. I minuti scorrono, nessuno ammaina la bandiera. Il gol arriva mentre le quattromila voci romaniste cantano "Ovunque tu sarai" e da quel momento è solo festa.
L’Oscar della scena più bella lo vince, a mani basse, Daniele De Rossi: da ricordare le sue urla al gol, ma soprattutto il fischio – con tanto di dita in bocca – con cui chiama i compagni per andare sotto la Curva. Tutti ridono, lui si toglie la maglia e la lancia ai tifosi. Borriello fa lo stesso, Burdisso grida "Vamos", Riise esce dal campo saltellando. I tifosi lo vedono e prendono spunto: “E chi non salta è della Lazio…”.
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