rassegna stampa roma

E adesso De Rossi!

(Il Romanista – C.Fotìa) Voglio aggiungere solo poche considerazioni, anche per rispondere alla garbata polemica di Vittorio Emiliani, a quanto hanno già scritto come io meglio non potrei Tonino Cagnucci e Paolo Franchi.

Redazione

(Il Romanista - C.Fotìa) Voglio aggiungere solo poche considerazioni, anche per rispondere alla garbata polemica di Vittorio Emiliani, a quanto hanno già scritto come io meglio non potrei Tonino Cagnucci e Paolo Franchi.

Sapevamo che questo momento prima o poi sarebbe arrivato: il momento nel quale, come in ogni rivoluzione che si rispetti, si è in bilico tra il consolidamento della rivoluzione e la restaurazione del vecchio ordine. Sì, perché, diciamolo chiaro, di questo si tratta.

Non fatevi illudere, cari tifosi e care tifose: nessuna delle cornacchie che dai giornali e dalle radio starnazzano contro Luis Enrique e Franco Baldini ha a cuore il bene della Roma, come ce l’avete voi, che ne siete i veri padroni, comunque la pensiate. No, i sacerdoti del vecchio ordine vogliono solo restaurare gli antichi privilegi, avere ancora accesso al piccolo potere che prima amministravano. Domandatevi perché questa micidiale campagna mediatica non sia riservata ad altre squadre (un nome a caso? l’Inter), che sta messa peggio della Roma.

Non mi è capitato di leggere, né sul Corriere dei Gufi né sulla Gazzetta dei Potenti, richieste di dimissioni di Claudio Ranieri (che non auspico affatto, sia chiaro). O critiche men che garbate a un presidente come Moratti che ha commesso tutti gli errori che un presidente potesse commettere. Sarà perché l’Inter è anche una potenza economica e giornali, radio e tv, si sa, sono molto sensibili ai voleri dei potenti? Hanno sparato contro la Nuova Roma fin dall’inizio ed ora, profittando di una partita che è andata così storta da non fare testo, stanno cercando di far venire giù tutto l’edificio.

Qui non sono in gioco gli errori di Luis Enrique, che sbaglia come tutti e che può e deve correggersi, con l’aiuto e il sostegno della società e della squadra (quel sano "gradualismo" che ieri evocava Paolo Franchi come giusta misura necessaria in ogni rivoluzione che voglia consolidarsi). Qui è chiaro che si vuol fare crollare tutto perché è chiaro che Luis Enrique è stato scelto da Franco Baldini per portare avanti una certa idea e Franco Baldini è stato scelto dagli americani come lo stratega della Nuova Roma. Abbattere uno significa azzoppare l’altro. E far crollare tutto.

Per ottenere cosa? Una nuova era di panchine effimere ed evanescenti? La fuga degli americani intimoriti dal fuoco di sbarramento dei restauratori? E per insediare chi? Affaristi e profittatori che vorrebbero lucrare sul fallimento della Nuova Roma? Mi sembra di comprendere che tutto ciò sia chiaro alla nuova dirigenza romanista, e che lo stringersi attorno a Luis Enrique lo dimostri. Occorre però ora uno scatto, un salto in avanti che rilanci quell’idea che tanto amore e tanto entusiasmo ha suscitato. Amore e entusiasmo che aspettano solo di vedere non tanto i risultati quanto i comportamenti coerenti per risvegliarsi, come un’onda potente. E questo scatto lo vogliamo vedere già lunedì , nella notte di una partita che per noi romanisti le racchiude tutte, contro la squadra che ci ha rubato scudetti e sogni. Vogliamo rabbia e amore, sudore e lampi di classe. Per risvegliare la nostra passione e rilanciare il nostro sogno serve però anche altro: un gesto che sia insieme concreto e, come dire, di enorme e dirompente potenza simbolica. Ricucire presente e futuro attraverso l’uomo che (insieme all’Immortale Capitano) più di ogni altro li rappresenta. Il rinnovo del contratto di Daniele De Rossi non può più essere una mera questione economica. Se si parla di rivoluzione e ci si crede, i soldi vengono dopo. De Rossi non è solo uno dei centrocampisti più forti del mondo, non è solo "il mare di Roma". Oggi è l’interprete più autentico dell’idea di gioco di Luis Enrique: energia, impegno, forza e fantasia. E tutto questo non ha prezzo. Le rivoluzioni non possono rinunciare ai propri uomini-simbolo: guardate come è finita Cuba quando se n’è andato Ernesto Guevara. Daniele è il nostro Che. E deve restare per salvare la Rivoluzione romanista.