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DiBenedetto: «Roma è il centro dell’universo»

(Il Romanista – D.Galli) – Ricordate? “Tutte le strade portano all’As Roma”. C’era scritto così sul dossier che fece recapitare mesi fa sulle scrivanie dei potenti di Unicredit. Sarebbe il vero miracolo.

Redazione

(Il Romanista - D.Galli) - Ricordate? “Tutte le strade portano all’As Roma”. C’era scritto così sul dossier che fece recapitare mesi fa sulle scrivanie dei potenti di Unicredit. Sarebbe il vero miracolo.

Evangelizzare alla fede giallorossa il pellegrino, catechizzare alla Roma i turisti. Che siano cattolicissimi atei del pallone sul sagrato di San Pietro o agnostici bavaresi all’ombra del Colosseo, non importa: sono tutti potenziali romanisti. «La mia sfida imprenditoriale è trasformare i clienti affascinati dalla città in tifosi di calcio». E’ uno dei passaggi strategicamente più importanti dell’intervista concessa da Thomas Richard DiBenedetto a “L’Espresso”, in edicola oggi. Questo nel medio o lungo termine. Nel breve conta però dell’altro. «Di sicuro bisogna incominciare a vincere e il nostro staff, con Luis Enrique, Franco Baldini e Walter Sabatini, è in grado di farlo». It sounds good. Suona bene, no? Ma perché ha scelto di comprare la società giallorossa? DiBenedetto lo rivela in un’intervista a “La Roma”, che come “L’Espresso” uscirà oggi: «Quando i miei partner del Fenway Sports Group hanno acquistato il Liverpool, io ho deciso che volevo fare qualche cosa per conto mio. E quando è giunta l’opportunità legata alla Roma, ho capito che era il momento giusto».

Dalle anticipazioni diffuse ieri, emerge il ritratto di un presidente-manager. Di un uomo che vuole mettere la propria esperienza professionale al servizio della Roma. DiBenedetto sa come veicolare sui binari giusti l’immagine della Città Eterna. Per fare del business, per ingrandire il volume d’affari, per portare veramente la squadra al vertice del calcio internazionale. Ma avanti vadano gli altri, a Mr Tom non piace apparire. «Ho sempre cercato di non essere sui giornali. Non ho mai voluto usare la stampa per aiutarmi nei miei affari e sono cresciuto nell’investment banking, dove è meglio non apparire finché l’affare non è concluso. Ho lavorato dieci anni per tre ditte di prestigio di Wall Street: Morgan Stanley, Salomon Brothers e Allen & co. Poi mi sono messo - spiega - in proprio con la Olympic Partners e mi sono dedicato all’immobiliare. Ho lanciato altre attività (Junction Investors e Boston International Group) ma, oltre alla finanza e al real estate, ho sempre desiderato occuparmi di politica estera. Così, a metà degli anni Ottanta, ho passato molto tempo in Unione Sovietica e poi in Russia, aprendo agli investitori occidentali la strada dell’Europa dell’Est».

Ogni volta, la domanda è la stessa. Ma perché un uomo d’affari americano ha scelto di investire in una economia asfittica come quella italiana? «I problemi dell’Italia - dice Mr Tom - stanno nell’eccesso di burocrazia e nella legislazione del lavoro troppo rigida. Ultimamente si è aggiunta la crisi del debito. In Europa non avete gli strumenti finanziari. Neanche la Bce li ha, a paragone con la Fed. Il vostro punto di forza sono le condizioni delle famiglie, migliori che in altri paesi. Grazie a questo siete capaci di sostenere la crisi meglio di altri». DiBenedetto affronta anche la questione Berlusconi: «Ha avuto una carriera imprenditoriale di enorme successo ed è stato il premier più longevo al governo. Per ottenere questi risultati ci vuole un individuo di grande talento. Sfortunatamente, adesso è alle prese con altri argomenti. E qui mi fermo». La forza del nostro Paese non sono però solo le famiglie, ma anche quello che in inglese è chiamato entertainment. L’industria del divertimento. E quindi (anche) il calcio. «C’è un genere di affari qui – spiega DiBenedetto - che sembra capace di sopravvivere a dispetto di quello che accade nel resto del mondo. Mi riferisco al turismo, all’industria del vino, a tutto quello che produce gioia e diverte la gente, come il calcio. La mia sfida imprenditoriale è trasformare i clienti affascinati dalla città in tifosi di calcio. Roma è in una posizione unica. La Chiesa cattolica è stata costruita qui e questo è il centro dell’universo per due miliardi di persone che considerano un obbligo visitare la Città Eterna prima o poi. Per arrivare a questo dobbiamo concentrarci sul marchio e svilupparlo, naturalmente a partire dalle vittorie in campo. Per ogni club ci può essere un modello di business che funziona, se il proprietario ha con il club lo stesso approccio che ha con la sua azienda». DiBenedetto ha un quadro estremamente preciso anche della voce “spese”. «Gli ingaggi dei giocatori – spiega - sono una percentuale molto alta del bilancio. Ma il problema vero è: troppo alti i salari o troppo bassi i ricavi? La priorità dei club italiani è aumentare le entrate perché il mercato dei giocatori è un mercato internazionale e i prezzi li fa il mercato».

La distanza tra la nuova e la vecchia gestione della Roma appare nettissima. Il presidente preferirebbe non toccare questo tasto. «Non abbiamo niente da guadagnare a parlare male di Rosella Sensi. E qualunque cosa io possa dire suonerebbe negativa verso di lei». Salvo poi definire «painful», penosa, la sua eredità. Ma adesso è ora di guardare al futuro. Cosa devono attendersi i tifosi della Roma? «Di sicuro – dice DiBenedetto - bisogna incominciare a vincere e il nostro staff, con Luis Enrique, Franco Baldini e Walter Sabatini, è in grado di farlo». Un concetto, questo, che DiBenedetto ribadisce a “La Roma”: «In termini di management volevamo la miglior scelta possibile. Il nostro obiettivo a Roma è creare quella situazione di stabilità ai massimi livelli di cui beneficiano altri club in Italia e in Europa, e questo è possibile solo vincendo. Poi, come dicevo, è fondamentale sviluppare il marchio attraverso il Web. Dagli Stati Uniti abbiamo portato a Roma gente con profonde radici italiane per investire sui social media e nel marketing di Internet. Una cosa è avere un’idea, e io ne ho molte. Un’altra cosa è avere le persone per metterla in pratica». DiBenedetto non lo nomina, ma una delle persone ingaggiate si chiama Shergul Arshad. Ha 41 anni, l’entusiasmo di un bambino e una curiosità da giornalista. L’altro giorno ha dedicato un post sulla sua pagina Facebook alla Roma che aveva vinto a Parma («Roma, Roma, Roma! Finalmente un successo e ora continuiamo a vincere con l’Atalanta») e poi ha ricordato agli amici che martedì era il compleanno di Totti («Totti 35 today!»). E lui l’uomo scelto dagli americani per portare la Roma su Facebook, Twitter e tutti quei mondi finora inesplorati. La squadra. La strategia di business. I social network.

E lo stadio di proprietà. Dice il presidente: «Con Gianni Alemanno abbiamo avuto una discussione molto propositiva. Il Sindaco è totalmente al nostro fianco e adesso stiamo valutando le opzioni sulle diverse aree. Ci sono vari “developers” locali che hanno espresso il loro interesse ad essere coinvolti con la Roma nell’operazione. Speriamo di incominciare presto e di essere i prossimi sulla strada che ha aperto la Juventus con grande successo. Il 2012 l’anno buono? Noi speriamo proprio di sì», confessa Mr Tom, «ma bisognerà che ci sia la collaborazione di tutte le forze politiche». L’Olimpico è importante, ma solo nel breve termine. «Sicuramente – avvisa nell’intervista a “La Roma” - è un grande stadio ma, proprio come dice la parola, è “Olimpico”. E spero possa essere la casa delle Olimpiadi del 2020». Come dire che la sinergia con il Coni è ottima e va benissimo. Però nell’immediato. C’è però anche una visione di DiBenedetto più intimistica, meno internazionale. Più romana. Il presidente spiega a “La Roma” come è sbocciato il suo amore per la Città Eterna. «La mia prima volta a Roma è stata dopo la laurea, nel 1974, e naturalmente ho ricordi bellissimi di quel periodo. Il mio essere italo-americano, cresciuto con un padre che era un supporter sfegatato di qualunque cosa fosse italiana, mi ha molto condizionato nella scelta. Quando i miei partner del Fenway Sports Group hanno acquistato il Liverpool, io ho deciso che volevo fare qualche cosa per conto mio. E quando è giunta l’opportunità legata alla Roma, ho capito che era il momento giusto, e che con i miei soci saremmo potuti essere le persone adatte». Se l’amore per Roma è sbocciato genericamente nel ’74, quello per la Roma ha una data precisa: il 25 settembre 2010. Quel giorno, quella notte, DiBenedetto era all’Olimpico. Per la prima volta, da aspirante presidente della Roma. Ricorda Mr Tom: «Non posso dimenticare l’urlo di gioia delle decine di migliaia di tifosi dopo il gol di Mirko Vucinic in Roma-Inter lo scorso anno. In quella occasione ho realmente sentito che stavo cominciando ad essere coinvolto in qualche cosa di più grande rispetto a una semplice società di calcio». Un coinvolgimento? No, presidente. La faccenda è molto più semplice. Lei era appena diventato romanista.