(Corriere della Sera - L. Valdiserri) - Il derby non è una tradizione americana. Le grandi rivalità dello sport made in Usa non sono tra squadre della stessa città. Certo, a New York c’è Jets contro Giants (football) e a Los Angeles c’è Lakers contro Clippers (basket), ma gli scontri più feroci sono sempre con altre realtà.
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DiBenedetto va al derby senza il suo punching ball
(Corriere della Sera – L. Valdiserri) – Il derby non è una tradizione americana. Le grandi rivalità dello sport made in Usa non sono tra squadre della stessa città. Certo, a New York c’è Jets contro Giants (football) e a Los...
Per restare a Boston, la casa madre di Thomas Richard DiBenedetto e James Pallotta, i nemici storici del Red Sox nel baseball sono i New York Yankees e quelli dei Celtics nel basket sono i Los Angeles Lakers. Come affronterà, dunque, il neo presidente giallorosso la sua prima stracittadina? Ha provato a fare una battuta, a Londra, raccontando che Walter Sabatini l’aveva descritto come «una guerra civile» ed è stato subito criticato. Senza tenere conto, però, né del tono né del fatto che negli States è un’espressione usata spesso. DiBenedetto, in questi mesi, si è abituato allo stadio Olimpico. L’ha anche criticato, ma, da businessman, ha capito che per un periodo di tempo che può anche essere lungo sarà la casa della Roma e nessuno deve mai criticare il posto dove vive.
Non ha particolari scaramanzie per il posto in cui si deve sedere. E chissà se qualcuno lo avvertirà che un saluto a Claudio Lotito può bastare, prima del match. Inoltrarsi in un discorso più lungo potrebbe essere un problema, perché Lotito fa il «possesso parola» come e più Luis Enrique il «possesso palla». Una volta presa non la lascia più a nessuno, latinorum compresi. Assieme a DiBenedetto ci sarà James Pallotta. La Nba non parte — e chissà se quest’anno si giocherà a basket negli Usa — così per avere emozioni forti il derby di soccer va benissimo. Non ci sarà, invece, Joe Tacopina. L’avvocato è a New York. Buon per le sue gambe, che, come ha raccontato lui stesso, furono tempestate di colpi da Thomas DiBenedetto durante Roma-Siena. Il suo vicino di poltrona aveva capito che, nel finale, sarebbe andata storta e, a ogni azione dei bianconeri di Sannino, sfogava l’inquietudine con l’amico che lo ha fatto innamorare di quella squadra meravigliosa ma che fa anche tanto soffrire.
Thomas DiBenedetto si è speso molto per la Roma in queste ultime settimane. Ha cercato in ogni occasione di ribadire il concetto di «modernità» della società, di «internazionalità» del marchio, di «appeal» dell’immagine fuori e dentro il campo. Il suo progetto, finora, è stato molto coerente. Si è fidato in campo sportivo dei migliori manager possibili (Sabatini, Fenucci, presto Baldini) e ha dato la squadra a un allenatore giovane, motivatissimo e ambizioso. Della parte societaria si è occupato in prima persona, aiutato dai manager del fondo Raptor, quello di James Pallotta. Ora è atteso a una prova che ancora non conosce a fondo e che è molto rischiosa. È il primo derby e non è un caso che Franco Baldini, a Roma, ci arriverà a palla ferma. L’esperienza serve.
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