rassegna stampa roma

Di Francesco-Montella: il derby del cuore

(Corriere dello Sport) Una giornata particolare. Perché per Eusebio Di Francesco e Vincenzo Motella questa è una partita carica di ricordi personali, un lungo tratto di vita, un rapporto amichevole, tra fratello maggiore (il tecnico del Lecce,...
Redazione

(Corriere dello Sport) Una giornata particolare. Perché per Eusebio Di Francesco e Vincenzo Motella questa è una partita carica di ricordi personali, un lungo tratto di vita, un rapporto amichevole, tra fratello maggiore (il tecnico del Lecce, quarantadue anni compiuti lo scorso 8 novembre) e fratello minore (l’allenatore del Catania, trentasette anni festeggiati lo scorso 18 giugno).

Dovranno «farsi del male», loro che hanno gioito insieme per uno scudetto (un po’ di più Montella che andava in campo, segnava e si accapigliava con Fabio Capello che puntualmente lo dimenticava in panchina, un po’ di meno Di Francesco reduce da un infortunio che gli impedì di andare in campo con regolarità). Dovranno «farsi del male» perché la stagione è entrata nella fase decisiva, perché domenica scorsa il Catania è «scivolato» al Massimino contro una diretta concorrente (il Chievo), perché il Lecce in casa è riuscito a fare peggio addirittura dell’ultimo in classifica (la miseria di un punto, successi buttati alle ortiche a causa di rimonte rocambolesche, come quella del Milan, da 3-0 a 3-4). Avrebbero preferito affrontare l’appuntamento in condizioni di classifica e psicologiche diverse perché in una situazione come quella attuale possono andare in fumo anche consolidate amicizie.

 

CASO - Avversari quasi per caso. Perché se lo scorso anno la crisi della Roma non fosse esplosa con la sconfitta di Genova e le dimissioni di Claudio Ranieri, Vincenzo Montella non sarebbe stato invitato ad abbandonare frettolosamente la panchina dei Giovanissimi per accomodarsi su quella della prima squadra. Se Luigi De Canio non avesse deciso di abbandonare Lecce per cercare nuove esperienze, difficilmente Di Francesco avrebbe abbandonato il suo borgo natio, Pescara, doveva aveva ottenuto una promozione in B e un contratto che lo legava sino al termine della stagione in corso.  In qualche maniera, tutti e due esordienti. Per Montella questa è la prima stagione da vero «titolare di cattedra»; per Di Francesco è la prima stagione in serie A, dopo una veloce gavetta fatta di serie C e serie B. Qualche affinità e molte diversità. La missione più complicata è probabilmente quella di Di Francesco chiamato a «traghettare» verso il futuro una squadra in cerca di un nuovo «padrone» perché la famiglia Semeraro, dopo anni di battaglie, ha deciso che il «tempo è scaduto», che bisogna consegnare ad altri il testimone, ammesso e non concesso che si riescano a trovare. Non ha questi problemi Montella. Semmai ne ha altri. Ad esempio, Maxi Lopez che attende di andare via e nell’attesa non riesce a dare il suo contributo di gol alla salvezza della squadra siciliana.

RISCHI - Ovviamente è Di Francesco che rischia di più. La classifica è quella che è: sei punti in meno rispetto al Catania, un campionato che fatica a decollare. Montella, invece, può gestire una situazione al momento rassicurante. Certo dovranno fare l’abitudine a questa situazione: avversari per la prima volta, almeno da allenatori. E non sarà facile cancellare in novanta minuti vent’anni di amicizia. Si conobbero a Empoli. Montella era un ragazzino, appena arrivato da Castello di Cisterna. Di Francesco era in Toscana già da tre stagioni. Non sapevano ancora che le loro strade si sarebbero separate (nel ‘91) per incrociarsi di nuovo otto anni dopo. Tutti e due furono fortemente voluti da Zeman ma quando Vincenzino arrivò a Roma (spinto anche dalla retrocessione della Sampdoria), il boemo non c’era già più rimpiazzato da Fabio Capello. Riannodarono i fili dell’antica amicizia cooptando nella loro cerchia anche Amedeo Mangone. Finì tutto con lo scudetto, finì tutto contro il Napoli, quando Di Francesco giocò la sua unica partita da titolare in quel campionato e Montella scatenò la sua rabbia per l’ennesimo spezzone di partita prendendo a calci una bottiglia. Ora del suo amico, Di Francesco dice: «Vincenzo è soprattutto un grande psicologo, sa cosa passa per la testa dei calciatori». Forse lo ha appreso vivendo nei pressi di Capello, uno che non dava particolare peso a quel che frullava nella testa dei calciatori e, in particolare, in quella di Montella.