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Destro: “Per un giovane in Italia è difficile, va detto. Ecco perchè molti vanno all’estero”

L'attaccante giallorosso è diviso tra campo e panchina, giovinezza e maturità, ambizione e le troppe voci che non aspettano null’altro che un passo falso.

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In ogni caso non è facile essere Mattia Destro. Vivere da promessa, essere trattato sempre da tale, e nel frattempo avere quasi ventiquattro anni, che tanti non sono ma nemmeno più pochi. Trovarsi in una grande e trovarsi sempre sul mercato, perché adesso è gennaio e se non giochi ti associano altrove e se sbuffi anche di nascosto ti danno in partenza pure se non ci hai nemmeno pensato. Fa parte del gioco e il ragazzo di Ascoli lo sa, anche se non vorrebbe. Ché andare in campo con la valigia è scomodo.

Già giocare come fa adesso lo è: non confessa certo l’insoddisfazione, ma non serve nemmeno domandargli se vorrebbe qualche minuto in più nella Roma. O magari sentirsi più in vista nella squadra che ormai è sua da qualche anno (la prima volta a settembre 2012) e che non sembra esserlo mai completamente. Ora lo danno verso il Milan anche se le smentite arrivano dopo ogni voce, nonostante Garcia lo abbia detto senza prestarsi a interpretazioni: «Non si muove». Ma gennaio è ancora lungo e si accavalleranno indiscrezioni che Mattia dovrà ignorare. Sembra allenato pure a scrollare le spalle, una volta che entra a Trigoria: il posto da guadagnare è lì dentro, almeno adesso.

Dove ha costruito un po’ della sua storia: un gol dopo l’altro fino ad arrivare a ventitré in cinquantacinque partite di Serie A, in giallorosso, hanno un valore. Soprattutto se conquistati a pezzi: in questo campionato ha giocato sette volte dall’inizio e sette a partite in corso, prima quattordici da titolare e sei dalla panchina, due anni fa undici gare dal primo minuto, dieci entrando. Una piuttosto curiosa alternanza, o forse un ruolo ritagliato per lui: quello del titolare aggiunto, del giocatore che può essere schierato subito oppure dev’entrare e risolvere. Nel basket un giocatore così sarebbe il perfetto sesto uomo, ma Destro è calciatore e figlio di calciatore, salta il paragone e va sul concreto: «Meglio essere tra i cinque. Il paragone mi piace, però dovendo dirla tutta l’ambizione è essere tra chi comincia. L’unica cosa che non cambia è l’impegno: serve dare il meglio in ogni minuto».

Mattia Destro non parla molto. Preferisce spiegarsi con i silenzi, o cambiando espressione del viso. Guarda al campo, più che al taccuino. Che è come se guardasse la culla, in effetti: il papà, Flavio, ha giocato in A e ha anche un passato recente da allenatore (l’anno scorso ha preso il posto di Giordano ad Ascoli), il pallone è uno strumento di famiglia. Il problema non è la vocazione, che Destro ha preso come un’eredità, moltiplicandone gli effetti, ma l’eterno richiamo alla giovinezza. Destro era giovane quando ha giocato la sua prima partita in Serie A: 12 settembre 2010, con la maglia del Genoa contro il Chievo, in gol sei minuti dopo il suo ingresso in campo. Aveva 19 anni.

Oggi, quattro anni dopo, Destro è ancora giovane: «Ma a ventitré anni uno non dovrebbe essere più considerato come tale». La sua lotta è questa: ogni giorno contro l’anagrafe, che in Italia è spietata al contrario: puoi sempre aspettare, il tuo momento sarà sempre il prossimo. Così Destro è un giocatore che chiede fiducia ma ha sempre lo sguardo addosso di chi lo pensa ancora acerbo, pubblico compreso che non gli permette errori quasi mai e nemmeno passaggi a vuoto, anche perché Destro quando entra lo fa spesso al posto di Totti (cinque volte su sette, in questo campionato) e quando gioca titolare fa stare il capitano in panchina (cinque volte su sette, anche qui).

Di fatto tocca un intoccabile e quindi ha una pressione moltiplicata addosso. Un eterno ragazzo che non può sbagliare rischia di non essere un investimento, di non sentirsi tale, dunque di sentirsi sempre sul mercato. O di guardare all’estero, perché i Verratti, gli Immobile, vanno poi a fiorire altrove: «Per un giovane è difficile, va detto. E a qualcosa dovrebbe far pensare, se i giovani di un certo valore poi vanno all’estero». Lo dice con serenità, guardandosi prima intorno perché il titolo non diventi “Destro vuole andare all’estero”.

Affida però a una riflessione un sentimento che non è fastidio solo perché affrontato con diplomazia. In fondo Mattia chiede semplicemente il posto che forse meriterebbe, se nel calcio contasse solo il calcio. Ma questo è il mondo in cui bisogna anche sapersi mostrare, in cui occorre vendere un’immagine di sé che con il ragazzo taciturno lega poco. Ha aperto i suoi profili sui social network da poco: «Devo ingranare, non li usavo e ora voglio approfondire», dice mentre Nainggolan quasi minaccia di spiegargli Twitter, pur sapendo di non essere esattamente un modello.

Ride, Destro. Poi si ferma – e si capisce che l’argomento non è divertente: è invece una somma di piccole delusioni – quando ripensa al suo percorso in Nazionale: ha giocato con tutte le maglie azzurre, dall’Under 16 in poi. Con i grandi ha esordito a ventuno anni, contro l’Inghilterra e in coppia con El Shaarawy, che le voci rimaste in giro danno come pedina di scambio per mandare Destro al Milan. A parte questo gioco della sorte, c’è anche il gioco delle scelte: Mattia è stato nella lista dei 32 pre-convocati da Prandelli per l’Europeo 2012, e poi non è andato all’Europeo, e nella lista dei 30 sempre pre-convocati, sempre da Prandelli, ma per il Mondiale in Brasile, senza entrare poi nel gruppo finale. Due grandi manifestazioni solo annusate, senza partire: «Sono arrivato corto, in entrambe le occasioni. Dispiace, non posso negarlo. Dispiace molto perché quando sei lì speri sempre di partire. Ma ogni volta capisci che devi fare ancora qualcosa in più: prima o poi entrerò nell’elenco finale».

Torna a sorridere. Perché alla fine è lo strumento migliore: guardare, ridere, prendere sul serio l’allenamento ma un po’ meno il circo intorno. Altrimenti ci sarebbe anche da rimuginare sulle foto di un anno fa, dopo l’infortunio, quando Destro aveva preso un po’ di chili e su internet c’era il raduno dei fotomontaggi, le foto accostate in modo impietoso. Lo sfottò era virale, Mattia però conosce gli strumenti del mestiere: «Le ho trovare simpatiche e mai offensive. Tanto lo so, nel calcio basta segnare perché tutto diventi un ricordo. Anche le foto, anche i chili in più». Deve solo smettere di essere giovane, ma non è colpa sua.