rassegna stampa roma

Dagli stadi al marketing: così l' Italia si è fermata

(Gazzetta dello Sport – M. Iaria) – Per fortuna che la Lega di A ha deciso di fare la pace con la Figc. Perché il calcio italiano non è messo affatto bene e ha bisogno di una cura da cavallo.

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(Gazzetta dello Sport - M. Iaria) - Per fortuna che la Lega di A ha deciso di fare la pace con la Figc. Perché il calcio italiano non è messo affatto bene e ha bisogno di una cura da cavallo.

Riforme, altro che litigi sul secondo extracomunitario. Lo conferma il ReportCalcio 2011, dossier sull'evoluzione dello stato economico-finanziario e di mercato, condotto dalla Federazione assieme ad Arel e PricewaterhouseCoopers e che sarà presentato domani a Roma (ore 11.30, presso l'Abi). Il rapporto avrà cadenza annuale e potrà rappresentare un punto di riferimento per qualsiasi tavolo di lavoro. Per la prima volta, infatti, viene scattata una fotografia sull'intero movimento calcistico, dalla massima serie ai dilettanti: una banca dati immensa, fatta di 14.690 società, 1.108.479 atleti tesserati, 67.159 tecnici abilitati, 33.040 arbitri, 108.732 dirigenti. D'altronde, parliamo di uno sport che conserva un grande appeal: il 72% della popolazione tra i 15 e i 69 anni è interessato al calcio. una percentuale in linea

Studio della Figc: nel 2000 la A incassava quanto la Premier. C'è un pubblico da incentivare con l'Europa che conta. Anche se nell'ultimo quinquennio il trend è stato negativo (le persone «molto interessate» sono scese dal 35 al 28%), a differenza di Inghilterra (dal 34 al 37%) e Germania (dal 30 al 33%).

I risultati sportivi, si sa, sono strettamente correlati alle performance economiche. Ecco un esempio. Negli anni Novanta le squadre italiane sono arrivate per 27 volte in finale di coppe europee o mondiali per club; 11 soltanto nel decennio successivo. Nel frattempo, guardate com'è cambiata la classifica del fatturato: nel 2000 la Serie A era molto vicina alla Premier League (0,9 contro 1,1 miliardi di euro) e precedeva Bundesliga e Liga (0,53); nel 2010 il campionato inglese è schizzato a 2,4 miliardi di ricavi, il massimo torneo italiano (1,53) si è fatto superare da quello tedesco (1,55) e avvicinare da quello spagnolo (1,5). I nostri club litigano su come spartirsi i soldi delle televisioni, che rappresentano il 65% delle entrate (20% da sponsor e merchandising, 15% da stadio). I loro competitor sviluppano strategie per diversificare i ricavi. Nessuno, in Europa, dipende così tanto dai diritti tv: in Inghilterra pesano per il 50%, in Germania per il 32%, in Spagna per il 38%. Prendiamo i ricavi delle principali società del Vecchio Continente. Lo stadio frutta 129,1 milioni annui al Real Madrid e 122,4 al Manchester United (bilanci 2009-10). Le nostre? 38,6 all'Inter, 31,3 al Milan, 16,9 alla Juventus. Neanche in campo commerciale siamo floridi: a fronte di un Bayern Monaco che incassa 172,9 milioni, abbiamo un Milan a quota 56,7, una Juve a 45,7 e un'Inter a 34,5. Ci prendiamo la rivincita grazie ai diritti tv: i ricavi in Italia sfiorano il miliardo (999 milioni). Siamo vicini all'Inghilterra (1,22 miliardi) e surclassiamo Spagna (570 milioni) e Germania (495). Si può fare meglio, peraltro, nella commercializzazione dei diritti all'estero, che da noi pesano per il 10% e Oltremanica per il 34%. Rosso In generale, è il conto economico che non va. Il costo del lavoro incide pesantemente sul fatturato: 72% in Serie A, 62% in Premier e Liga, 52% in Bundesliga. E nel 2009-10, 14 club italiani hanno fatto registrare un risultato operativo negativo, contro gli 11 dell'Inghilterra, gli 8 della Liga e i 2 della Bundesliga. Nella scorsa stagione 11 club italiani su 20 hanno registrato a bilancio un risultato operativo negativo. In Bundesliga solo 2.