(Il Messaggero - R.Renga) Quando nel 1927 Italo Foschi decise di aggiungere un altro monumento a quelli che al tramonto lo facevano impallidire e allora ne inventò uno magico e colorato e lo chiamò Roma, intendendo così racchiuderli tutti, mai avrebbe immaginato che meno di un secolo dopo, appena un soffio nella storia della capitale, al suo posto si sarebbe seduto un americano, Tom DiBenedetto.
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Da Foschi il sognatore a Viola e Sensi i vincitori
(Il Messaggero – R.Renga) Quando nel 1927 Italo Foschi decise di aggiungere un altro monumento a quelli che al tramonto lo facevano impallidire e allora ne inventò uno magico e colorato e lo chiamò Roma, intendendo così racchiuderli...
Il cui primo giorno da romanista rischia di passare inosservato, sovrastato com’è dal compleanno di un altro romanista niente male. E non è giusto e logico il silenzio, perché l’avvenimento verrà comunque ricordato per anni e anni e lo studieranno un giorno gli allievi di un corso universitario in giallorosso.
Quanti presidenti, prima di lui. Sacerdoti, Edgardo Bazzini, cui si deve il primo scudetto, Anacleto Gianni e Marini Dettina, sino a Evangelisti e Marchini, che aveva una bella figlia, Simona, che fece innamorare Ciccio Cordova, una storia che adesso spingerebbe a follie i direttori dei settimanali di gossip. Gaetano Anzalone un giorno svenne a Terni: la Roma stava perdendo e poi si ripresero, sia lui che la squadra. Fece un club di giovani: all’epoca non si chiamava progetto. Il calcio era una cosa più semplice e la tivvù in bianco e nero. Anni così così, ma che passione aveva Anzalone e gli sarà piaciuto DiBenedetto, che si fa il segno della croce per un gol scampato.
Dino Viola trasformò la Rometta in Roma, inaugurando la fase della rivolta: basta con gli scarti degli altri, orgoglio romanista, Liedholm in panchina, Falcao in campo, il gol di Turone scippato, anticipo mediatico di ciò che sarebbe stato. La tolsero, quella squadra, dalle mani di Viola, che ci morì per la delusione e il rimpianto. Ciarrapico lo ricordiamo per la fuga all’Olimpico in pigiama e niente altro.
Poi ci fu un piccolo e burbero signore, chiamato Franco Sensi. Ne ha dette e ne ha fatte. Sbagliando, imparando, portando di nuovo la Roma in cima all’Olimpo. I suoi sacrifici (anche economici) sono stati dimenticati in fretta. Non uno, ma undici Batistuta, scrivemmo un giorno. Prese il centravanti e fu il primo e ultimo passo. Vinse, ma perse Franco Sensi, che non aveva Fiat o Mediaset alle spalle, ma una famiglia, la cui primogenita, Rosella, ne ereditò la carica. I soldi se n’erano andati, bisognava muoversi con fantasia o allacciando alleanze che al padre non sarebbero piaciute, ma la Roma è rimasta in piedi e il monte dei pegni ha fatto affari giallorossi quando Rosella non contava più e aveva le mani legate.
La gente, non tutta ma gran parte, voleva un cambiamento. Ed ecco lo sbarco americano e Tom DiBenedetto, cui auguriamo di capire subito Roma e l’Italia. Il calcio, come la vita, va di corsa.
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