(Il Romanista - S,Romita) Malati. Ora qualcuno dice che erano malati della scommessa in se, come la pensionata che si gioca tutto al lotto o nei gratta e vinci.
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Cuoio e galera
(Il Romanista – S,Romita) Malati. Ora qualcuno dice che erano malati della scommessa in se, come la pensionata che si gioca tutto al lotto o nei gratta e vinci.
Quella malattia che spesso aiuta ad essere giudicati con maggior clemenza e con quel briciolo di pietà che ha chiesto Beppe Signori ai giornalisti. Ma che lui non ha avuto per la sua famiglia, per i suoi ex tifosi, per gli amici che nella sua fortunatissima vita da calciatore ha avuto intorno. La scommessa è una cosa, la scommessa di un giocatore un’altra, la scommessa di un ex giocatore un’altra ancora. E la "puntata" sopra una partita truccata e falsata altra cosa ancora. Si muovono insieme infatti più cose: la stupidità, la febbre del gioco, l’imbroglio, la truffa. E il tradimento.
Verso i compagni, come nel caso del portiere della Cremonese che li addormentava nell’intervallo. Verso i propri tifosi, la gran parte dei quali al giorno d’oggi, si privano di cose necessarie pur di essere allo stadio a sostenere i propri colori e i propri eroi.
Ma di che eroi si tratta? Che bandiera può sventolare un bergamasco nerazzurro quando il suo beniamino per antonomasia, vissuto e cresciuto con quella maglia, si vende una partita e ci scommette anche sopra? Perché mai la Federcalcio in passato, nel 2001, nel 2004, nel 2006, è stata magnanima? Perché lo è ancora con i reati sportivi? E perché la giustizia non condanna rapidamente e severamente chi tenta di condizionare, o riesce a farlo, le competizioni? E’ per me una cosa inspiegabile.
E al momento mi accontento di poter riabbracciare all’Olimpico Franco Baldini, l’uomo che combattè contro la cricca di Moggi. L’uomo su cui gli americani di Boston hanno ricostruito la Roma. Una squadra che si compra, ma che non si vende. Non vorrei scrivere uno di quei commenti pesanti, noiosi, pieni di retorica, di morale e impregnati tutti nell’etica dello sport.
La vita di tutti i giorni con uno Stato che ti porta per mano a scommettere su tutto, a grattare tagliandi ogni giorno, a tentare la botta di culo e la scorciatoia milionaria, non è ricca di insegnamenti. Una società condotta a sognare il win for life da 6000 euro al mese per venti anni e che ha chiuso i cinema per sostituirli con le sale del bingo, ha un po’ di difficoltà a capire le parole di Cesare Prandelli sul fatto che "i soldi bisogna sudarseli". Son parole d’altri tempi, forse. Sono il rimprovero del vecchio nonno al nipote che non vuole lavorare nella stessa attività artigianale fatta di dolore alle mani e alzatacce. Ma qui non stiamo parlando di una vita grama. Stiamo parlando di domeniche da giganti all’ombra di cori e abbracci esaltanti. Che anche se diventate un ricordo hanno pur sempre lasciato tasche piene e vita agiata.
E tifosi anonimi disposti a sorriderti e salutarti al supermercato come davanti alla più bella delle dive cinematografiche. Stiamo parlando di un qualcosa che non è vendibile a nessun prezzo: l’amore dei tifosi. Bambini cresciuti sulla stessa poltroncina e ormai invecchiati sognando solo di poter strombazzare il clacson una notte d’estate urlando "Siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Italia siamo noi..". E se io fossi dell’Atalanta e dovessi passare tutta l’estate a tremare sapendo che potrei non risalire in serie A perché qualcuno ha rubato il mio cuore insieme al pallone, che farei?
Cuoio e galera. Chiederei solo questo. Cuoio per le cinghiate in piazza e galera medioevale, dove scommettere sulla bronchite che arriva.
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