(Il Tempo - M.De Santis) In quelle parole, dette così tanto per dire, c’era il triste destino di Philippe Mexes. Le pronunciò per fare un esempio, per spiegare meglio un concetto e forse anche per esorcizzare un normale rischio del mestiere.
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Crociato rotto. Adieu Mexes
(Il Tempo – M.De Santis) In quelle parole, dette così tanto per dire, c’era il triste destino di Philippe Mexes. Le pronunciò per fare un esempio, per spiegare meglio un concetto e forse anche per esorcizzare un normale rischio del...
Il 15 febbraio, alla vigilia di Roma-Shakhtar, si presentò in conferenza e aprì bocca. «Sto rischiando anche io - disse il biondo di Tolosa - a giocare senza il rinnovo firmato: se mi rompo il crociato, sto fermo sei mesi e a fine contratto, chi mi prende?». Detto, successo. Lo avesse saputo, se ne sarebbe uscito con un’altra frase. E invece la sfortunata profezia alla fine si è avverata. Lesione, rottura, del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro: adieu finale stagione, adieu Roma. Nel futuro immediato di Philippe c’è un intervento chirurgico: Alle 12 di oggi dal professor Pier Paolo Mariani a Villa Stuart, dove entrerà alle 8 di stamattina e dove ieri Mexes ha svolto l’intero iter percoso pre-operatorio.
Il Milan, la sua prossima società, aveva garbatamente consigliato di andare a Barcellona dal professor Ramon Cugat, lo stesso chirurgo specialista del ginocchio a cui si è affidato a novembre Pippo Inzaghi. Alla fine, però, ha prevalso l’opzione Villa Stuart. Il futuro successivo al passaggio sotto i ferri prevede un periodo di recupero che da protocollo dovrebbe durare almeno quattro mesi. Poi, se tutto filerà per il verso giusto, Mexes potrà ricominciare ad allenarsi ad agosto. Lo farà con dei nuovi compagni in una nuova realtà. Tutte cose che tutti, volenti, nolenti, silenti o parlanti, sanno corrispondere nel Milan. Peccato, però, che l'au revoir di Philippe dalla Roma sia avvenuto così senza neanche il tempo di salutarsi come si deve dopo sette anni vissuti intensamente. Così come avvenne l’arrivo a Trigoria, poche ore prima della fuga alla Juve, c’era ancora Capello: quattro chiacchiere, spiegazione dei movimenti tattici con i bicchieri e le posate a un tavolo del ristorante del Fulvio Bernardini. L’ultima recita da romanista all’Olimpico, sette anni e parecchie avventure in giallorosso dopo, è durata 50 minuti ed è finita su una barella elettronica. Il «fattaccio» alla fine del primo tempo, mentre cercava fortuna al limite dell’area juventina. Ha sentito dolore, ma non abbastanza per chiedere al medico di uscire: quei cinque minuti giocati nel secondo tempo hanno di fatto chiuso la sua carriera giallorossa. Ieri il viaggio al Gemelli, in compagnia del dottor Pengue e del ds Pradè, gli esami e la sentenza che si era autoinflitto due mesi fa. Non la sapeva, ma l'aveva detta. Rien ne va plus, les jeux sont faits.
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