(La Gazzetta dello Sport - M.Calabresi) - Ora che a Bergamo le cose vanno così bene, chissà, lo faranno cittadino onorario, così come successo qualche anno fa ad Anzio.
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Colantuono, un mare di Roma
(La Gazzetta dello Sport – M.Calabresi) – Ora che a Bergamo le cose vanno così bene, chissà, lo faranno cittadino onorario, così come successo qualche anno fa ad Anzio.
Lo stimano e gli vogliono bene ovunque abbia lavorato, ma a Stefano Colantuono piace ricordare le origini, anche a costo di diventare l'ennesimo «romano e romanista» a tradire il cuore per un giorno. Troverà Osvaldo pronto ad abbracciarlo, lui che con Colantuono ha esordito in Italia, proprio nell'Atalanta: «Di lui ho un grande ricordo — dice l'attaccante — anche se siamo stati insieme solo sei mesi».
Ritratto Lo descrivono come una persona solare e tranquilla, che con il pallone tra i piedi si divertiva da pazzi e che sognava di fare del calcio un lavoro. C'è riuscito, «perché è uno che quando vuole una cosa la ottiene». Lo dice Delia, la cugina di Stefano, con cui ha condiviso il Natale e l'estate per tanti anni. Ma anche l'immenso dolore per la morte di un figlio: Delia è la mamma di Alessandro Bini, il quattordicenne che nel 2008 perse la vita urtando un rubinetto che era a pochi passi dalla linea laterale del campo dell'Almas. Un periodo triste anche della vita di Colantuono, che pochi mesi prima aveva perso pure il papà, da cui Stefano ha ereditato la passione per il calcio e per la Roma, e con cui la domenica partiva da Anzio per andare all'Olimpico.
Appassionato Gli sono sempre piaciute le sfide. Come quando, a mamma Pina che gli chiedeva di studiare, diceva: «Vedrai, diventerò famoso». Da Anzio, dove la famiglia si trasferì quando Stefano (nato al Tuscolano) aveva tre anni, il giovane Colantuono andava ad allenarsi a Velletri, e capitava che il pullman non passava e ci arrivasse in autostop. Difensore dal fisico imponente dai e piedi buoni in campo, schivo e riservato fuori. Ma che in panchina si trasforma, almeno nei gesti: «Perché lo sport è la cosa che ama di più, quindi dà sfogo alle emozioni».
Scalata Allenatore è diventato dieci anni fa, quasi per caso. Alla Sambenedettese, in C2, quando Alessandro Gaucci gli affidò la squadra dopo le dimissioni di tale Enrico Nicolini: Colantuono, con nove vittorie di fila, si qualificò per i playoff, conquistando anche la promozione. Da lì, una carriera in provincia, in cui l'unico punto di contatto calcistico con Roma risale al 1992, quando giocava nell'Ascoli, non trovò l'accordo per svincolarsi, e per non restare fermo passò al calcio a 5 vincendo uno scudetto con la BNL: «Si capiva che sarebbe stato in grado di gestire un gruppo — ricorda Piero Gialli, tecnico di quello scudetto —. Era allenatore in campo: rispettava avversari e arbitri, anche se era il primo a farsi rispettare. Se le conoscenze tecniche e tattiche si assimilano con gli anni, la leadership devi avercela dentro. E lui ce l'aveva».
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