(Il Messaggero - A.Angeloni) - È passato un anno, sembrano una quindicina. Marco Borriello da eroe a riserva di lusso.
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Borriello al bivio
(Il Messaggero – A.Angeloni) – È passato un anno, sembrano una quindicina. Marco Borriello da eroe a riserva di lusso.
Dai sette gol della passata stagione tra campionato (dieci partite con la Roma più una con il Milan) e Champions League (cinque match fino alla fine di novembre), a zero in questo scorcio di stagione (206 minuti giocati in queste prime dieci partite, 866 nelle prime dieci partite del passato campionato in giallorosso). Appena arrivato a Roma, all’inizio le ha giocate tutte da titolare, la maggior parte per novanta minuti; ora solo in due occasioni è stato inserito nell’undici, con Siena e Palermo, quattro volte è entrato nel finale, con Cagliari, Inter, Genoa e Atalanta, con i bergamaschi addirittura a quattro minuti dal gong. Contro Parma, Lazio, Milan e Novara è stato in panchina e basta.
Che è successo? Involuzione tecnica? Crisi d’identità? Più o meno. Lui di colpe ne ha poche. La risposta è semplice: Luis Enrique sta puntando su altri e per ora a rimetterci è comunque un grande attaccante come lui. La Roma concepita dallo spagnolo non prevede una punta con le sue caratteristiche, per questo il ds Walter Sabatini lo scorso luglio, prima che si entrasse nel fuoco delle trattative di mercato, disse: «Borriello è un problema». Borriello un problema per la Roma, ma forse è più corretto dire che la Roma è un problema per Borriello. Il problema della società è che Borriello gioca poco e guadagna tanto, ma «privarsene senza convenienza economica non vale la pena», fanno sapere da Trigoria. Quindi, si aspetta un acquirente serio e disposto a spendere, altrimenti Borriello resta alla Roma «e prima o poi arriverà anche il suo momento», dicono sempre da Trigoria. L’attaccante campano, al di là dei sorrisi sinceri, degli abbracci ai compagni dopo per festeggiare i gol (degli altri), ha solo la necessità e la voglia di giocare. Tutto qui. A Roma sta benissimo, nella Roma pure. Diciamo che gli manca un pezzo per essere pienamente soddisfatto. È difficile prevedere un suo futuro a Trigoria a questo punto.
Il Napoli sarebbe interessato, il Genoa lo riprenderebbe, il Milan pure, specialmente dopo che Cassano ha dovuto salutare la stagione e addirittura il prossimo Europeo. Di queste solo il Milan sarebbe disposto a coprire l’oneroso ingaggio di Borriello, ma lo vorrebbe in prestito. E Milano per lui è casa e ci tornerebbe più che volentieri. C’è poi il Psg di Leonardo e forse di Ancelotti. Per ora c’è solo da aspettare, nell’attesa coltivare la speranza di ricominciare a far parte nella rotazione di attaccanti prevista da Luis Enrique, con il quale non è certo ai ferri corti, ma è ovvio, è difficile per un calciatore andare d’amore e d’accordo con chi non ti fa giocare. Qualche mese a stringere i denti e magari provare altrove a ritrovare se stesso e la vena gol. Borriello è uno che tace, non smania, non si presenta un giorno sì e l’altro pure da Sabatini o da Baldini per chiedere di essere ceduto, se ne sta semmai in silenzio a rodersi dentro, aspettando un momento che per adesso non è (quasi) mai arrivato. «Sorprendente», così a Trigoria definiscono Borriello alla luce di questi fatti. In questi mesi - come ha fatto fin ora - proverà a concentrarsi sulla Roma, su Luis Enrique. Vuole vedere se ci sarà spazio per lui. Già in estate aveva «sorpreso» tutti.
Dopo aver capito che sarebbe stata un’annata piena di difficoltà, si è presentato in ritiro con l’umiltà de ragazzino alla prime armi: ha fatto pure l’attaccante esterno, che è come chiedere a un bianco il ritmo di un africano. Eppure ci ha provato, a volte ci è riuscito, a volte molto meno. Poi è arrivato Osvaldo e le difficoltà sono aumentate. In più c’è Bojan (ieri una famiglia di Barcellona si è presentata a Trigoria solo ed esclusivamente per lui e ha esposto uno striscione: noi non ti dimentichiamo), c’è Lamela, c’è un certo Totti, è arrivato - come se non bastasse - anche Borini. Insomma, un disastro. Luis ha bisogno di un altro tipo di punta. Palacio, ad esempio. Quando lo scorso anno Ranieri lo ha mandato in panchina, lui si è fatto pizzicare dalle telecamere mentre sussurrava a un compagno: «Se non gioco io che ho fatto centocinquantamila gol...». Quest’anno va in panchina ma non si lamenta (almeno pubblicamente e almeno per ora). È maturato, non c’è dubbio. Ma una cosa è certa: quella lamentela pubblica non gli ha portato benissimo. E ora deve ricominciare. Se a Roma, tanto meglio.
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