(Il Romanista - C.Fotìa) Sapete qual è la più grave colpa di Tom DiBenedetto, di Franco Baldini, di Claudio Fenucci, di Walter Sabatini, di Luis Enrique? Aver sbagliato la campagna acquisti? Scegliere un modulo di giuoco piuttosto che un altro? Aver usato un aggettivo sbagliato? Nient’affatto.
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(Il Romanista – C.Fotìa) Sapete qual è la più grave colpa di Tom DiBenedetto, di Franco Baldini, di Claudio Fenucci, di Walter Sabatini, di Luis Enrique? Aver sbagliato la campagna acquisti? Scegliere un modulo di giuoco piuttosto che un...
La più grave colpa, che a ben vedere è un immenso merito, è stata di aver pronunciato una parola che nell’Italia del calcio, tale e quale l’Italia politica, piena di caste, di reazionari incalliti, di tromboni sfiatati che suonano sempre lo stesso spartito, di soloni incipriati che pontificano dalle loro tribune ingufate, è una bestemmia. La parola è rivoluzione culturale. Cioè un cambio di mentalità di cui il calcio italiano e anche il paese, hanno un bisogno urgente e drammatico.
Significa aprirsi ai giovani che sono il futuro, chiamando chi è già nell’Olimpo dei nostri dei a fare da guida, immaginare un’idea di giuoco (che non è un modulo schematico, bensì, appunto, un’idea del calcio), soluzioni innovative nel modo di concepire il business, un atteggiamento rispettoso ma non subalterno nei confronti delle istituzioni, una libertà dai patti leonini (e cretini) che stabiliscono le gerarchie del potere. Era facile immaginare che nel paese della gerontocrazia e delle camarille, un siffatto cambiamento avrebbe incontrato ostacoli di ogni genere, e il progetto sarebbe stato sottoposto alla campagne denigratorie e alle ironie dei custodi dell’esistente, per i quali una partita di campionato è già sufficiente per esprimere un giudizio definitivo e bocciare un progetto ai suoi primi passi. Non c’è da stupirsi: in tutti i campi della vita umana i rivoluzionari sono sempre stati accolti come visionari inconcludenti, pericolosi estremisti, esseri irragionevoli.
Nel caso della Roma, i portavoce della reazione esigono il ritorno al passato, come se lo scorso campionato non si fosse appalesata la fine di un ciclo che ha regalato ai tifosi della Roma anni esaltanti (che non sarà certo questo giornale a disconoscere) ma che si era esaurito per naturale consunzione. Il bello è che questo conformismo del coro dei media viene spacciato per indipendenza di giudizio, mentre le poche voci anticonformiste, e Il Romanista in primis, che appoggiano il nuovo corso senza se e senza ma, vengono bollate come "aziendaliste" e tacciate di cieca obbedienza. Su questo punto vorrei essere molto chiaro: noi rispettiamo le opinioni diverse dalle nostre, ma non tolleriamo che la nostra autonoma scelta di condividere la rivoluzione culturale venga sbeffeggiata da chi ha condannato il nuovo corso, prim’ancora che si avviasse. Scelta legittima, ma di questo si tratta: di una condanna fatta solo di pregiudizi e tesa a smantellare il nuovo edificio. Siamo piccoli, ma non ci facciamo intimidire: non è che chi è più grande è per forza più intelligente. A Roma si dice: grosso e fregnone. Siamo piccoli, ma abbiano artigli ben affilati. L’ultimo gioco in voga è addirittura quello di trasformare il campionato in fantacalcio, lanciando l’idea che a decidere la formazione della Roma sia un giornale e un sondaggio. Se è un giuoco, lo si dica e ci si scherzi sopra. Abbiamo il fondato sospetto che non si tratti però di questo, bensì dell’ennesimo tentativo di destabilizzare l’ambiente.
Sia chiaro: ognuno è libero di fare quello che vuole, purchè non ci si prenda sul serio. Al bar sport siamo tutti pronti a fare la nostra formazione ideale. Appunto, al bar. Le cose serie sono fatte di scelte, di manager, di direttori sportivi, di allenatori che devono ascoltare tutti ma che poi devono decidere (e per fortuna Luis Enrique lo fa) con la loro testa. Il resto sarebbe una sorta di gogna mediatica che ogni settimana mette questo in panchina e quello in campo, sarebbe come se ogni giorno il direttore di un giornale facesse un sondaggio tra i lettori per decidere la scaletta del giornale. La rivoluzione culturale è l’opposto di questo invocato caos anarchico: è un progetto, è assunzione di responsabilità, è metterci la faccia, è pagare in prima persona se le scelte, passato il tempo necessario affinchè possano essere verificate, si dovessero rivelare sbagliate. Per fortuna, la società, la maggioranza dei tifosi e la squadra hanno deciso di crederci e di fare a meno degli Oronzo Canà seduti sulle loro panchine mediatiche
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