rassegna stampa roma

Aspettando la Roma vera ben vengano i tre punti

(Corriere dello Sport – Lino Cascioli) Alla fine, più che il tremor poté il digiuno. La Ro­ma aveva una gran fame di vincere e allora, più del gio­co (ancora in abbozzo), più delle sofferenze patite in campo, più della commo­vente...

Redazione

(Corriere dello Sport – Lino Cascioli)Alla fine, più che il tremor poté il digiuno. La Ro­ma aveva una gran fame di vincere e allora, più del gio­co (ancora in abbozzo), più delle sofferenze patite in campo, più della commo­vente generosità agonisti­ca, più dello spirito di sacri­ficio, a saper conquistare questa prima vittoria è sta­to il forte stimolo, avvertito da tutti, di azzannare i tre punti.

Dopo tante partite fi­nite stringendo solo un pu­gno di mosche, alla fine sembrava che i giallorossi avessero vinto un altro scu­detto. Erano tutti 'aux an­ges', come ha detto Pjanic in un perfetto francese: era­no cioè al settimo cielo. Tot­ti, De Rossi e compagni si abbracciavano, si annusa­vano, lacrime agli occhi, soffocando le grida di pia­cere. Avevamo già visto qualcosa del genere, pro­prio al termine di una par­tita con il Parma. Ma allora si festeggiava il terzo scu­detto. Altri tempi, altra squadra, altri traguardi. Bisogna tener conto però del clima da giudizio di Dio che aveva caratterizzato l'incontro, con Luis Enrique sulla graticola, Tom DiBe­nedetto in tribuna e tutto il progetto della nuova Roma processato dalla critica. Il nuovo presidente america­no è certamente una perso­na coraggiosa. Vista la si­tuazione scottante, poteva tornarsene a Boston per na­scondersi dietro qualche grattacielo. Poteva andar­sene dopo il primo tempo, durante il quale s'era visto solo De Rossi e un tiro di Totti. Lo zio Tom ha preferi­to invece restare vicino alla squadra nel corso di questa partita indicativa. E ciò vuol dire che non è certo animato dall'ambizione di fare passerella, ma avverte il dovere e il piacere di sof­frire con i suoi giocatori, di sognare con i tifosi, in una parola di mostrare affetto e solidarietà per la squadra che ha scelto di guidare. Ormai comunque le cose sono abbastanza chiare. Ci vorrà tempo. La Roma met­te in mostra alcuni progres­si, ma stenta ad uscire dal bozzolo per trasformarsi in farfalla. A tratti è ancora un bruco che si attorciglia at­torno al suo filo di seta, ri­schiando di strozzarsi. Il gol di Osvaldo la fa più leg­gera e frizzante, come aves­se ingerito una pasticca di aspirina. Gli scambi acqui­stano velocità, i centrocam­pisti cercano la profondità. Ma poi Luis Enrique ripren­de a guardare il cielo, come certi santi nei quadri reli­giosi, mentre la squadra si contrae di nuovo. Ma si contrae senza paura grazie ad Heinze, reagisce con sti­le grazie a Pjanic. E allora l'allenatore azzarda anche la carta Bojan, nel tentati­vo di tenere alto il tasso tec­nico. Ma a garantire la vit­toria più che l'aspetto stili­stico è il cuore. E' il Bojan chi molla ad accompagna­re i giallorossi sino alla vit­toria. Tre punti, in un campio­nato dalla classifica così corta, vogliono dire tanto. E la stella di prima grandez­za di questo strano torneo è proprio quell'Atalanta che si accinge a scendere saba­to all'Olimpico per dare un seguito al suo momento magico. Intanto partono troupes di operatori televi­sivi alla volta di Bergamo, per raccontarci la nuova protagonista del campiona­to, attraverso filmati e in­terviste che oscilleranno, ne siamo certi, tra l'eterno compiacimento per la vita­lità della provincia calcisti­ca italiana e una sufficien­te ironia. La Roma però fa­rà bene a smettere subito di abbracciarsi. C'è un altro Annibale alle porte.